La teoria economica liberista ritiene che l’abbattimento delle barriere doganali e la libertà dello scambio siano fattori necessari alla crescita e allo sviluppo economico. Inoltre, i trattati di libero scambio, permetterebbero ai singoli paesi di specializzarsi in determinati settori e di produrre solo ciò che sanno fare meglio, aumentandone la produzione (beneficiando delle economie di scala), così da ridurre costi e far abbassare i prezzi.

Tuttavia, come spiega il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, in un articolo del maggio scorso, riportato dal Sole 24 Ore, in cui commentava proprio il TPP, ai nostri giorni, i vantaggi di una liberalizzazione nel campo del commercio sono assai contenuti e interessano soltanto il settore primario. Krugman, infatti, spiega:

Io ho calcolato che l’«iperglobalizzazione» (l’espansione senza precedenti dei commerci mondiali avvenuta dal 1990 in poi) ha accresciuto il reddito planetario di circa il 5 per cento. A mio parere, è implausibile che il Partenariato transpacifico possa aggiungere più di uno zero virgola qualcosa al reddito delle nazioni coinvolte. Sempre meglio che niente, ma non stiamo parlando di un accordo che rivoluzionerà il pianeta”.

A cosa serve dunque il cosiddetto TPP? Prima di rispondere a questa domanda, vediamo prima di tutto di cosa si tratta.

33.siIl cosiddetto Trans-Pacific Partnership (TPP) è l’accordo siglato ad Atlanta, in Georgia, lunedì 5 ottobre tra gli Stati Uniti e altri undici paesi: Giappone, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam (a questi potrebbero forse aggiungersi Filippine e Corea del Sud). L’accordo investe praticamente il 40% del PIL mondiale e riduce progressivamente migliaia di dazi e barriere soprattutto per il settore agroalimentare, ma anche nel settore auto e macchinari. La trattativa si è svolta nel corso dei mesi passati in piena segretezza sui contenuti ed è stata più dura riguardo ad alcuni temi come la protezione dei brevetti farmaceutici, sulla quale è stato raggiunto un compromesso tra Stati Uniti e Australia sulla base di una protezione tra un minimo di cinque fino a un massimo di otto anni per i farmaci biologici. Altre difficoltà sono state riscontrate sui derivati del latte, dove Canada e Giappone hanno accettato una riduzione delle barriere all’ingresso, e la questione del ISDS (investitor-state dispute settlement) cioè un accordo sulle controversie tra gli stati e gli investitori (multinazionali) che difende la proprietà intellettuale di questi ultimi, molto criticato da un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz,, il quale in un articolo pubblicato in Project Syndicate e riportato da “Voci dall’estero”, scrive:

Per decenni, le società statunitensi del tabacco hanno utilizzato meccanismi di aggiudicazione degli investitori esteri creati da accordi simili al Tpp al fine di combattere le normative tese a contenere la piaga sociale del fumo. In base a questi sistemi di regolazione delle controversie tra investitore e Stato (ISDS), gli investitori stranieri acquisiscono nuovi diritti per citare in giudizio i governi nazionali, ricorrendo ad arbitrati privati vincolanti sui regolamenti che a loro avviso diminuiscono la redditività dei loro investimenti. […]Certamente, gli investitori – a qualsiasi stato appartengano – meritano tutela contro l’espropriazione o le norme discriminatorie. Ma l’ISDS va ben oltre: l’obbligo di risarcire gli investitori per le perdite dei profitti attesi può ed è stato applicato anche laddove le regole non sono discriminatorie e i profitti sono realizzati causando un danno sociale.“

8247637207_5528c4fbd4_k__largePer gli Stati Uniti si tratta del più grande accordo commerciale concluso dai tempi del NAFTA, l’accordo di interscambio nordamericano, in vigore dal 1994. Per la Casa Bianca, il trattato oltre a garantire nuovi posti di lavoro, sosterrà anche il made in America, eliminando tariffe nel settore auto, sui macchinari, sul pollame, sulla frutta e sulla soia. Sul piano politico, invece, il Presidente Barack Obama spera di trasformare il TPP in un’alleanza strategica contro l’egemonia economica del colosso cinese nella regione del pacifico. Tuttavia, l’approvazione del trattato da parte del Congresso americano potrebbe subire rallentamenti: nei mesi scorsi il Presidente Obama ha dovuto sfidare l’opposizione di esponenti influenti del suo stesso partito e dei sindacati, che temono per i posti di lavoro dei lavoratori americani. Accanto a questi, anche la Ford aveva espresso perplessità sull’accordo. Se approvato, attendendo poi l’esito del TTIP con l’Europa, Obama potrebbe certamente vantare un concreto successo politico, in un mandato presidenziale segnato da diversi fallimenti.

Il Trans-Pacific Partnership, in realtà, non appare altro che un accordo che aggiunge solo tutele a brevetti, copyright e a “diritti intellettuali”. Più che un accordo di libero scambio sembra un trattato volto a proteggere i grandi marchi, le compagnie farmaceutiche e le multinazionali. Ma se non credete a noi, provate a credere alle parole di Paul Krugman o a quelle di Noam Chomsky:

Per esempio che non dobbiamo mai dimenticare che tutelare la proprietà intellettuale significa creare un monopolio, significa lasciare che i detentori di un brevetto o di un copyright riscuotano denaro per qualcosa (l’uso di conoscenza) che ha un costo marginale sociale pari a zero“ (Paul Krugman).

Si tratta di misure estreme, fortemente protezioniste, pensate per compromettere la libertà del commercio. Anzi, molto di quanto è trapelato circa il TPP indica che questo non riguarda affatto il commercio, si tratta dei diritti degli investitori/speculatori” (Noam Chomsky su “The Huffington Post”).

Marco Muscillo