Lotta alla proliferazione nucleare, intesa sulla Siria, coinvolgimento “dei capitani d’industria” per una proficua collaborazione commerciale, ammorbidimento della posizione statunitense sul Nord Stream 2 e capitolo “Russiagate” archiviato. Il summit di Helsinki tra Donald Trump e Vladimir Putin, ha scontentato guerrafondai, gazzettieri “democratici” al fosforo bianco e giocatori compulsivi di Risiko travestiti da analisti geopolitici. In Finlandia ha trionfato la “realpolitik”, cristallizzata nell’espressione “interessi sovrapposti”, utilizzata sia dal tycoon statunitense che dal leader russo.
I contatti tra i generali Joseph Dunford e Valerj Gerasimov, capi di stato maggiore di Russia e Stati Uniti, iniziati nel febbraio 2017 e mai interrotti, hanno consentito a Stati Uniti e Russia di centrare quell’obiettivo che Patrick Ryder, portavoce di Dunford, aveva individuato nella “necessità di mantenere comunicazioni regolari per evitare errori, promuovere la trasparenza e prevenire collisioni nelle zone in cui i nostri militari operano in prossimità”.
Dell’estensione e della ventilata proroga del trattato di non proliferazione nucleare “New Start” (entrato in vigore il 5 febbraio 2011 e in scadenza nel 2021), ha parlato Vladimir Putin, usando parole che non lasciano molto spazio alle interpretazioni: “Ho rassicurato il presidente Trump che la Russia è pronta a estendere questo trattato, a prolungarlo, ma dobbiamo prima concordare le specifiche perché abbiamo alcune domande da fare ai nostri partner americani”.
Sulla Siria è emersa la possibilità di una maggiore libertà d’azione per la Russia ed una “cooperazione” con gli Stati Uniti nella zona sud-occidentale del Paese, a ridosso delle alture del Golan controllate da Israele, con un prezzo da pagare per il paese di Putin a spese di un alleato leale ed affidabile nella regione come l’Iran.
Alcuni analisti russi hanno così quantificato e qualificato le richieste di Trump: contenimento e progressivo ridimensionamento delle forze iraniane e non interferenza sulle sanzioni Usa all’Iran, di cui russi e sauditi stanno beneficiando sul mercato del petrolio. L’Iran è il quarto paese al mondo per riserve di petrolio e il secondo per quelle di gas. Nel 2015, Teheran ha firmato un accordo sul nucleare che sta rispettando, come dicono i rapporti dell’Aiea.
Putin ha sottolineato anche la necessità di rafforzare i legami economici con gli States, partendo dall’idea della costituzione di gruppi di lavoro, con il coinvolgimento dei “capitani d’industria, sposata da Trump. L’Europa vende sul mercato russo merci del valore di 100 miliardi di dollari l’anno e 50 miliardi di servizi. Il valore delle merci cinesi è di circa 57 miliardi, mentre quello delle merci statunitensi è di appena 12 miliardi. Quello dei servizi è addirittura di 5 miliardi.
Chi aveva previsto con fastidiosa sicumera scintille sui delicatissimi temi della crisi ucraina e del gasdotto Nord Stream 2, sarà rimasto sicuramente deluso. Di Ucraina si è parlato pochissimo ad Helsinki, con un accenno agli accordi di Minsk più che altro per ragioni “d’agenda”. Toni morbidi da parte del presidente degli Stati Uniti sul gasdotto russo-tedesco, considerato una sciagura per le vendite di shale gas yankee all’Europa. Da Berlino, il giorno dopo l’incontro finlandese, è arrivato anche l’annuncio di un accordo tra Russia e Ucraina per proseguire i negoziati mediati dalla Ue sul transito di gas russo verso l’Europa.
Archiviata, di fatto, la vicenda “Russiagate”. “La Russia non ha mai interferito con le elezioni americane”, ha detto Putin. Diretto e per certi versi “brutale” Trump: “Russiagate è nata soltanto perché i democratici hanno perso”. E ancora: “Non c’è stata collusione”.
Le parole di Donald Trump hanno mandato su tutte le furie le agenzie statunitensi di intelligence impegnate nell’inchiesta sul Russiagate. L’ex capo della Cia John Brennan (dal 2013 al 2017) ha twittato indignato: “Poco meno di un tradimento. Non è solo che i commenti di Trump sono imbecilli, è che è totalmente succube di Putin. Patrioti repubblicani: dove siete???”.
Dello stesso tenore le parole ex capo dell’Fbi James Comey, grande accusatore di Trump: “I patrioti devono farsi avanti e respingere il comportamento del presidente”.
Chiosa finale di colore (imbarazzante) per “la Repubblica” che prima ha messo in bocca a Putin parole mai pronunciate sulle ingerenze russe nelle elezioni statunitensi e poi è stata costretta a fare una rovinosa marcia indietro, parlando di rimozione di un tweet contenente una dichiarazione erronea.
Una balla talmente colossale, da costringere gli ineffabili russofobi debenedettiani a rettificare con un controcanto cinguettato.
Da cacciatori di presunte fake news a “cancellatori” di tweet con dichiarazioni erronee non di Putin ma di qualche fantasioso cinguettatore. Spesso il tifo fa brutti scherzi e basta un attimo per scivolare dal trono degli “infallibili” allo sgabello dei cazzari. Sic transit gloria mundi.