Al IV Congresso generale del Partito AKP, svoltosi nel Marzo del 2013, il premier Erdogan lanciò una sfida ambiziosa per il Paese anatolico: affermare l’economia turca tra le prime 10 più importanti al mondo entro il 2023. Dopo diversi anni di crescita, a tassi invidiabili per qualsiasi Paese emergente, il miracolo economico di Ankara rischia di svanire.

L’ultima tornata elettorale consegna, infatti, al Primo Ministro uscente una maggioranza instabile, che allarma gli investitori, pronti ad uscire dal Paese mettendo a rischio l’intera economia turca, fortemente indebitata con l’estero. Gli aumenti del PIL del recente passato, a tassi che potremmo definire “cinesi”, sono infatti drogati da un copioso afflusso di capitali esteri nel Paese: va da sé che un eventuale disimpegno degli investimenti potrebbe mettere in ginocchio l’intera economia nazionale.

La bilancia commerciale della Turchia, ci dice che il Paese importa molti più beni di quanti non ne esporta, per cui il suo saldo è stabilmente in deficit. Da ciò risulta che per finanziare il disavanzo del conto delle partite correnti (il più alto tra i paesi emergenti, vedere grafico di seguito), il paese faccia largo uso di capitale estero.

Figura 1 - Bilancia dei pagamenti, saldo partite correnti Fonte: Elaborazione interna su dati OECD
Figura 1 – Bilancia dei pagamenti, saldo partite correnti
Fonte: Elaborazione interna su dati OECD

 

Il Paese anatolico detiene la maglia nera tra i paesi emergenti anche per quel che riguarda tasso di risparmio nazionale (14%), che dimostra ulteriormente il legame vitale tra la Turchia e gli investimenti esteri e la conseguente vulnerabilità nei confronti di shock esterni: la crescita finanziata prevalentemente da capitali stranieri ha una instabilità intrinseca, essendo debiti che gravano per lungo tempo sulle economie e che consegnano a soggetti esterni le sorti della nazione. L’ingente smobilizzo degli investimenti, testimoniato dal collasso della Lira turca potrebbe dunque avere conseguenze drammatiche.

Gli alti tassi d’interesse turchi, che hanno contraddistinto l’ultimo periodo di crescita, hanno portato l’imprenditoria locale ad indebitarsi con l’estero. Oggi, Il forte deprezzamento della Lira, in concomitanza con la frenata dei flussi di capitali esteri, lascia le aziende turche in balia dei creditori stranieri. Queste, si trovano infatti a vedere crescere il valore del debito denominato in valuta estera a causa della svalutazione della moneta nazionale, accrescendone il rischio insolvenza.

Questo fenomeno potrebbe quindi ripercuotersi sullo stato di salute delle banche del Paese, già di per sé in condizioni di instabilità, avendo notevolmente accresciuto la loro situazione debitoria verso l’estero, ai danni delle Attività (Figura 2).

 

Figura 2 - Attività vs passività delle banche turche verso l’estero Fonte: atimes.com
Figura 2 – Attività vs passività delle banche turche verso l’estero
Fonte: atimes.com

 

Il rischio è rappresentato dalla possibilità che, l’inversione dei flussi finanziari, per gli istituti bancari già fortemente indebitati, possa provocare un credit crunch (calo improvviso dell’offerta di credito).

Il destino della tigre del Bosforo, è oggi più che mai nelle mani delle petrol-monarchie del Golfo, suoi creditori principali. L’importanza geopolitica della Turchia, e l’indiscussa leadership del “Sultano” Erdogan, non hanno mai fatto mancare al Paese l’appoggio di queste nazioni arabe; vista l’attuale situazione economico-politica però, è lecito chiedersi per quanto tempo gli alleati del Golfo continueranno ad alimentare una Tigre sempre più debole ma sempre più affamata.

Luca Caselli