Umberto Eco è venuto a mancare da poco, con un addio avvenuto in punta di piedi, secondo lo stile ed il carattere che erano propri del suo personaggio. È stato, al di là di tutte le valutazioni che fioccheranno nelle prossime ore, uno dei numerosi giganti della cultura italiana della seconda metà del Novecento, un intellettuale finissimo e di tutto rispetto. Negli ultimi anni aveva dedicato molte delle sue energie al “politicamente corretto”, a proporre e sostenere, da intellettuale appartenente ad un certo mondo accademico e borghese, un’idea di politica a metà fra il moderato ed il progressista, cosa che gli aveva fruttato il consenso del centrosinistra in quegli anni in contrapposizione aperta con Berlusconi al potere. Del resto il centrosinistra lo considerava, seppur con una certa deferenza, uno degli intellettuali della sua scuderia, la cui autorevolezza doveva essere assolutamente usata ed anche strumentalizzata per influenzare il pubblico italiano troppo incline al centrodestra, ed ancor più per attaccare e screditare quella compagine politica che nel 2001 prima e nel 2008 poi aveva inferto all’Ulivo e al PD due sonore batoste, condannandoli all’opposizione.

Del resto Umberto Eco è sempre stato una figura accademica ed intellettuale, totalmente inserita nel mondo della cultura, prima ancora che politica. La politica gli interessava, su questo non ci sono dubbi. Ma ad inserirlo in quel calderone, in quel gioco dove il suo nome era richiesto soprattutto per il peso che si portava dietro, era stato soprattutto il centrosinistra ed il gruppo editoriale L’Espresso al quale del resto Umberto Eco non mancava mai di far avere qualche suo pezzo (oltre alle collaborazioni con “Repubblica”, del resto controbilanciate da altre con giornali d’opposto avviso, merita d’essere ricordata “La Bustina di Minerva” su L’Espresso, dal 1985 al 2016). Diremmo una falsità se affermassimo che l’autore de “Il Nome della Rosa” fosse apolitico: al contrario, Eco era un vero e proprio “animale politico”, che di politica s’interessava con grande passione. Ma non era, e questo è importante dirlo, un militante come credevano molti elettori e simpatizzanti del centrosinistra o lettori dei prodotti editoriali del gruppo De Benedetti. Eco s’interessava alla politica perchè ciò costituiva la naturale conseguenza del suo essere un uomo di cultura, di profonda cultura: ma non vedeva nella politica il fine ultimo della sua esperienza di vita, prova ne sia che al contrario di altri mai si candidò o avanzò una proposta di candidatura come invece fecero altri “intellettuali” italiani coevi, veri o presunti che fossero.

Fu, però, nel 1971, fra i 757 firmatari della lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli e protagonista nell’autodenuncia di solidarietà a Lotta Continua, dove insieme ad altre cinquanta persone espresse la propria solidarietà ai membri della redazione del giornale, indagati per associazione a delinquere. Del resto quella vicenda avrebbe prodotto immensi strascichi, giunti praticamente fino ai nostri giorni, e che avrebbero visto un coinvolgimento intellettuale e politico bipartisan, per esempio con un forte attivismo anche dei Radicali.

Le idee politiche di Umberto Eco, molto meno élitarie di quanto potremmo pensare se consideriamo che erano partorite dalla mente di un intellettuale del cosiddetto ceto medio progressista, replica tutta nostrana del ceto medio liberal anglosassone, sono del resto ben espresse in alcuni suoi libri come “Sette Anni di Desiderio”, raccolta dei suoi vecchi articoli su Repubblica ed Espresso dove critica il terrorismo degli Anni Settanta, e “A Passo di Gambero”, dove attacca il populismo di Berlusconi e di Bush, e l’idea della guerra di civiltà.

Nel 2011, in occasione delle “Primavere Arabe”, quando gli chiesero se Berlusconi poteva essere paragonato a Mubarak, disse che casomai avrebbe dovuto essere confrontato con Hitler, visto che anche questi era andato al potere con libere elezioni. La cosa suscitò grandi polemiche, al punto che pure lo stesso Eco si vede costretto ad una smentita. Come esponente di quel ceto medio liberal, moderato e progressista che avevamo già descritto in questo articolo e che più volte abbiamo analizzato nel nostro giornale, Eco vedeva in Berlusconi una sorta di “profanatore della cultura” per mezzo delle sue televisioni commerciali. Ma dietro a questa repulsione (ma Eco ne era consapevole?) si nascondeva l’antipatia verso un leader politico che attuava una politica certamente “non politically correct”, troppo sbilanciata verso la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi e poco sussiegosa nei confronti di Mamma America. Ecco perchè nel centrosinistra e nel gruppo L’Espresso si sfruttava a piene mani la nomea e l’autorevolezza di Umberto Eco per dare addosso a Berlusconi. La stessa cosa toccò anche a Mario Rigoni Stern, altro grande scrittore, sebbene non paragonabile ad Eco e morto, soprattutto, qualche anno prima. Però tutto questo spiegava la guerra ideologica in cui anche grandi intellettuali come Eco vennero assoldati per demonizzare e distruggere, peraltro con un successo assai relativo, la figura di Berlusconi presso gli italiani.

Siamo un paese che spreca o che rovina i suoi talenti. È stato così anche per Umberto Eco: il nostro mondo politico l’ha visto come una buona occasione con cui arricchire ed infiocchettare i suoi tornaconti, con cui dare autorevolezza intellettuale e culturale all’antiberlusconismo. Nessuno ha pensato che Eco fosse, prima di tutto, un grande autore, un grande intellettuale, che col suo “Il Nome della Rosa” ottenne uno strepitoso successo internazionale.

Forse è questo il modo in cui ce lo dovremmo ricordare: come un uomo da prendere ad esempio per la sua immensa cultura, per tutto quel che ci ha dato e che ci ha lasciato. Eco non era un militante. Si limitava a fare l’intellettuale, con tutte le ricchezze e i limiti che ciò può comportare. Chi vuole dipingerlo come un artista o un intellettuale militante, alla stregua di Benigni che senza batter ciglio è passato dal PCI al PD, commette solo un grave errore di valutazione: quello di chi vuol dar giudizi su una persona senza conoscerne la biografia. Eco simpatizzava certamente per la sinistra, ma questo non bastava a farne un soldatino agli ordini di D’Alema, di Veltroni, o di Renzi. O di De Benedetti.

Stiamo parlando di un grande intellettuale, che ha prodotto vera cultura: separiamo il grano dal loglio.