Il 2 giugno di quest’anno sarà una data molto importante per la nostra Repubblica: in tale occasione, infatti, essa festeggerà il settantesimo anniversario della propria nascita, avvenuta com’è noto nell’ormai lontano 1946. Formalmente quella sotto cui staremmo vivendo adesso sarebbe (ancora) la Seconda Repubblica, sorta dopo il crollo del Pentapartito avvenuto fra il 1992 ed il 1993, e sancito dalla vittoria referendaria che introdusse il maggioritario. Stante una simile considerazione, qualcuno potrebbe chiedersi se abbia davvero senso festeggiare oggi la nascita di quella che fu la Prima Repubblica, ormai estintasi più di vent’anni fa. Del resto, ci sarebbero ben pochi argomenti per celebrare la nascita della Seconda, visto il suo bilancio non proprio brillante. Ma, al di là di certe considerazioni, ciò che festeggiamo oggi è l’affermazione della forma di Stato repubblicana nel nostro paese, indipendentemente dalle sue varie serie, successioni e varianti.

Se per caso in Italia ci fosse anche una festa della Costituzione, da celebrarsi ogni primo di gennaio in memoria di quel primo di gennaio del 1948 in cui entrò in vigore, si potrebbero fare ancor più considerazioni di questo genere. La Costituzione, da allora, è stata più volte rimaneggiata, e non sempre in senso migliorativo. Ancor peggio, ciò che non è stato cambiato non è stato comunque implementato o applicato.

Ma proprio di questo bisogna parlare, perché è un tema di strettissima attualità. Come sappiamo, è in atto una riforma costituzionale che presumibilmente ad ottobre troverà la sua conferma o la sua abrogazione, mediante l’istituto referendario. Ad oggi c’è un grosso scontro fra le varie forze politiche sulla natura di questa riforma, ma ben pochi, nel paese, hanno esattamente compreso quali siano i suoi contenuti e quali effetti pertanto essa avrà sulla vita politica del paese qualora dovesse entrare in vigore.

Il referendum è innanzitutto sulla cosiddetta “Legge Boschi”, per la quale l’Italia cesserà di essere un paese dove vige il “bicameralismo perfetto”: verrà infatti meno la parità di ruolo e di competenze delle due camere. Saranno inoltre modificati i rapporti fra Stato e regioni e verranno introdotte alcune importanti modifiche per l’elezione del Presidente della Repubblica e l’utilizzo dell’istituto del referendum. Il Senato sarà fortemente rimpicciolito (da 320 a 100 unità) e depotenziato, e la scelta dei senatori avverrà fra consiglieri regionali e sindaci (oltre a 5 scelti dal Presidente della Repubblica), sebbene con modalità non ancora ben definite. Il Titolo V sarà fortemente rivisto, con una consistente riduzione delle competenze delle regioni: in tal modo si vorrebbe porre rimedio alla controversa riforma del Titolo V attuata sempre dal centrosinistra nel 2001, che ha potenziato il ruolo e l’autonomia delle regioni aumentando, secondo gli accusatori, gli sprechi soprattutto nel campo della sanità, oltre ad aver creato non pochi contenziosi fra le stesse regioni e lo Stato. Infine vi è il capitolo del “contenimento dei costi”, ritenuto dai più molto propagandistico, con ad esempio l’abolizione del CNEL che da tempo più di un governo promette.

Matteo Renzi ha dichiarato di puntare tutto sulla vittoria al referendum: qualora la riforma avanzata dal suo ministro dovesse essere cassata, si ritirerebbe addirittura dalla politica. Non sappiamo quanto ciò possa essere vero, perché com’è noto ben pochi sostenitori della Legge Truffa degli Anni Cinquanta si ritirarono a vita privata, ed altrettanto fecero coloro che si opposero all’introduzione del maggioritario negli Anni Novanta. In ogni caso la posta in gioco è altissima, tale da pregiudicare anche la sopravvivenza dello stesso governo.

La domanda è: quale Italia potrà nascere da questa riforma? Secondo i suoi critici, lo Stato assumerà una fisionomia più autoritaria, giacché si rafforzerà il peso del potere esecutivo su quello legislativo, grazie al depotenziamento del Senato e alla contemporanea adozione dell’Italicum come nuova legge elettorale. Inoltre verrà meno il potere di controbilanciamento dello Stato e del governo da parte delle regioni, o quantomeno esso risulterà fortemente alterato a favore del potere centrale. A questo punto nulla dovrebbe vietare di farci pensare che questa sia la famosa “Terza Repubblica” da tanto tempo attesa: molto più snella della Seconda, avrà sicuramente meno problemi in termini d’azione di governo. Ma ciò andrà, probabilmente, a danno del pluralismo politico ed istituzionale. Si sacrificherà la rappresentanza in nome della governabilità, o governance, come va di moda chiamarla oggi.

Del resto non basta solo cambiare sistema elettorale perché si verifichi automaticamente il passaggio da una generazione di repubblica all’altra: altrimenti, stante l’adozione del Porcellum nel 2006, dovremmo convenire che la Terza Repubblica esista almeno già da dieci anni. Oltre al sistema elettorale devono cambiare tante altre cose, come almeno parte della classe politica, il sistema dei partiti, addirittura quello socio-economico. Fu ciò che avvenne fra il 1992 ed il 1994, col passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

Probabilmente in questo caso non ci sarà un passaggio altrettanto sismico e traumatico, ma di certo i risultati che si potranno contare alla fine di questo processo avranno una portata tutt’altro che indifferente. Viene da chiedersi, a questo punto, se Renzi sarà poi effettivamente in grado, elettoralmente parlando e non solo, di beneficiare di questo nuovo giocattolo che adesso sta costruendo a colpi di maggioranza. Non è infatti da escludersi la possibilità che, dopo aver realizzato lo Stato dei suoi sogni, venga sostituito, o per sconfitta elettorale o per banale ribaltone dovuta ad una resa dei conti interna al suo partito, da qualcun altro, magari neppure del centrosinistra, che potrà a quel punto divertirsi con una Terza Repubblica perfetta per chiunque voglia garantirsi un potere a lunga, lunghissima scadenza.

C’è un detto francese che indica questa situazione: “travailler pour le roi de Prusse”, “lavorare per il re di Prussia”: ovvero darsi tanto da fare a creare una situazione pensando di poterne beneficiare per poi non riuscirvi, a causa della propria debolezza, col risultato che a goderne è qualcun altro. Sarà proprio questa la storia di Renzi e della sua Terza Repubblica?