Dopo il terremoto provocato dal referendum britannico, domani si terranno le elezioni generali in Spagna, un’altra tappa della “Via Crucis” di un’Unione Europea preda di una crisi infinita e i cui vertici sono sempre più terrorizzati dal possibile voto popolare in favore di questo o quel partito “populista” ed euroscettico.

La Spagna torna al voto appena sei mesi dopo la precedente tornata elettorale che per la prima volta ha reso ingovernabile un Paese fin a quel momento caratterizzato da un solido bipartitismo imperniato sul Partito Popolare e il Partito Socialista. Con un parlamento sostanzialmente spaccato in quattro parti, i due partiti tradizionali e le nuove formazioni di Podemos e Ciudadanos, e nessuna possibilità di creare una maggioranza di governo, si è reso necessario ricorrere alle elezioni anticipate.

Il quadro politico, però, non è cambiato molto rispetto allo scorso dicembre. L’unica novità di rilievo è la coalizione tra Podemos e la sinistra (comunista e non) di Izquierda Unida, che hanno dato vita a Unidos Podemos, che corre sempre sotto la leadership di Pablo Iglesias. Podemos dunque si sposta definitivamente “a sinistra” consacrando questa nuova alleanza con l’estrema sinistra tradizionale che alle ultime elezioni ha ottenuto solo il 3.7% dei voti e 2 seggi nelle Cortes. A questo punto Unidos Podemos ha sicuramente le carte in regola per sorpassare il PSOE ed egemonizzare buona parte dell’elettorato più a sinistra, uno scenario già delineato dagli ultimi sondaggi. Iglesias ha moderato i toni del suo programma, presentandosi come “socialdemocratico” più che “comunista” e come patriota capace di scendere a compromessi, ammorbidendo le critiche verso l’euro o la NATO, che restano in discussione, ma senza troppa enfasi. Il suo carisma presso gli “indignados” e la sua imprevedibilità continuano però a preoccupare le banche che ne temono l’ascesa.

Ma l’impressione che si ha è che anche queste elezioni non riusciranno a consegnare una situazione di “governabilità”, essendo i tre principali partiti tutti tra il 20 e il 30% con Ciudadanos tra il 10 e il 15. L’uscente Rajoy spera di rafforzare il PP per poter trattare da una posizione di forza con tutti, in particolare con i socialisti di Sanchez, che sono restano nel mirino di Iglesias. Il leader di Podemos infatti continua a sostenere che non vi sia alternativa a un’intesa tra lui (magari in veste di Primo Ministro) e il PSOE per il governo. Dal canto loro i socialisti continuano ad essere forse il partito più in difficoltà di tutti, stretti tra la morsa di Podemos e la prospettiva non allettante (ma obbligata dall’Unione Europea?) di una grande coalizione con i popolari. E’ quasi certo che in caso di sconfitta e di sorpasso da parte di Unidos Podemos Sanchez sarà costretto a lasciare la guida del partito; attualmente la principale roccaforte dei socialisti rimane l’Andalusia, governata dall’influente Susana Diaz (contraria all’alleanza con Podemos) che potrebbe avere un grande peso nella scelta del futuro segretario. L’altra ipotesi sempre in auge è quella che vede la nascita di un governo di centro-destra, forse favorito dall’astensione del PSOE, tra i popolari e Ciudadanos, soprattutto se i primi dovessero arrivare primi (come indicato dagli ultimi sondaggi) e i secondi dovessero confermare o incrementare il buon risultato del dicembre scorso. Questo non significa che Rajoy, per quattro anni uno dei più fedeli esecutori delle politiche dettate dalla Germania, possa essere riconfermato alla presidenza del governo: nessun altro partito vorrebbe un suo secondo mandato e quindi potrebbe imporsi un cambio. Il vero vincitore, comunque, potrebbe essere proprio Pablo Iglesias e il progetto da lui messo in campo, con un messaggio populista, autenticamente socialdemocratico e patriottico capace di attirare voti non solo a sinistra. Inutile dire che un governo da lui guidato, anche se compromesso con i vecchi socialisti e inevitabilmente più “moderato”, potrebbe essere un altro brutto colpo per l’Unione Europea e il mondo bancario e finanziario che in questa settimana ha messo al secondo posto come pericolosità, dopo la Brexit, proprio l’eventuale grande affermazione di Unidos Podemos. Confermerebbe la forza del populismo di sinistra nell’Europa Meridionale, laddove a Nord hanno avuto più spazio i partiti provenienti da destra.

In ogni caso, ormai le elezioni, come negli altri paesi europei, sono diventate una vera seccatura per gli apologeti di una “democrazia” cristallizzata nella “governabilità” a scapito della rappresentanza e nella “stabilità” che piace ai mercati finanziari. Il caso Brexit lo ha dimostrato, domani potrebbe essere così anche in Spagna.

Giulio Zotta

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Nato a Napoli, vive a L'Aquila e studia scienze politiche. Appassionato di storia, politica, cinema, viaggi.