Javier Mascherano.

Il Panenka con il quale Alexis Sanchez ha consegnato la prima Copa América alla sua nazionale apre una serie di interrogativi sulla reale consistenza della nazionale argentina, considerata da molti una delle più talentuose della storia del paese sudamericano. Il problema principale sembra l’assenza di un leader tecnico. È senza dubbio evidente che il leader dell’albiceleste è Javier Mascherano. El Jefecito è però un leader caratteriale. Non è il leader tecnico della squadra. Sbroglia molte situazioni, è un giocatore di straordinaria intelligenza, ma difficilmente lo vediamo trascinare la squadra palla al piede, farsi dare il pallone nei momenti di tensione, strappare la squadra avversaria con un’accelerazione, decidere le gare con una giocata singola. Il suo ruolo non lo prevede. Anzi, dopo anni di sballottamento tra centrocampo e centro difesa, è diventato a tutti gli effetti un libero davanti alla difesa, alla Desailly. Anche Demichelis o Zabaleta sono giocatori di carattere, ma non leader tecnici.

I molti grandi talenti offensivi hanno completamente toppato la gara. Agüero e Higuain sono sembrate due presenze ectoplasmatiche. Praticamente inutili, invisibili. La difesa cilena, composta da due centrocampisti (Gary Medel e Francisco Silva) e una riserva (José Rojas), ha cancellato dal campo i due punteri argentini, incapaci di trascinare i compagni verso la via del gol. Nonostante qualche giocata discreta, ha fallito anche Pastore, giocatore da ritmi bassi, troppo bassi, offuscato da compagni troppo invadenti. Anche Lavezzi non ha inciso, sdoppiato in una corsa a perdifiato tra la fase offensiva e il tentativo di tamponare (con Rojo) un imprendibile Mauricio Isla, incredibile quesito irrisolto dalla difesa argentina.

Ma il problema maggiore è ancora quel Leo Messi che non appena veste l’albiceleste sembra essere un pesce fuor d’acqua. Capiamoci, difficilmente ne trovi uno così forte nella storia del calcio. Forse un paio. Non di più. Rimane il fatto che per sprigionare al meglio le sue capacità deve avere alle spalle una macchina che irretisce gli avversari per 90 minuti con l’infinito Tiki Taka. Nello spartito perfetto del Barcellona, la Pulce inserisce gli acuti. I tagli, i dribbling, gli assist, i gol. Le invenzioni, in una parola. Ma fuori da quell’orchestra di grandi solisti che convivono senza attriti, il fenomeno di Rosario non riesce a trovare il suo spazio. In una gara decisiva Messi non c’è mai. Copa América 2007, Mondiali 2010, Copa América 2011, Mondiali 2014, Copa América 2015, cinque grandi delusioni, con ben tre finali perse.

Il confronto tra un fenomeno come Leo Messi e una serie di ottimi giocatori come Sanchez, Vidal o un impattante Mati Fernandes, è sembrato impietoso. Abulico, spesso fuori dai giochi l’argentino. Personalità, gioco a tutto campo, impatto devastante per i cileni. Certo, merito di Sampaoli, il tecnico argentino che ha raccolto l’eredita del Loco Bielsa altro argentino, che a differenza di Tata Martino ha presentato in campo una squadra con grande carattere, personalità e grinta. Ma non solo. Qualcuno continua a malignare che Messi “non sia troppo argentino”. È una spiegazione psicologica che può avere un fondamento.

Martino, che già nella scorsa stagione presentò il Barcellona più abulico e inconsistente dell’ultimo decennio, ha tenuto per 120 minuti in panchina Tévez. Uno che l’Argentina la vive fino alle viscere. Forse il leader tecnico che mancava alla sua squadra. Un errore probabilmente imperdonabile. L’attenuante per il rosarino è aver puntato molto su quello che sembra essere l’unico leader tecnico nei suoi pensieri tattici: Angel Di Maria. L’unico capace di spaccare la gara con le sue accelerazioni e le sue invenzioni e soprattutto dotato di tanto carattere, personalità ed “argentinità”. Ma ancora una volta la maledizione ha privato gli argentini del Fideo del Manchester United.