La candidatura del tartufo a patrimonio dell’umanità è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali che sviluppa nei territori vocati un business stima in oltre mezzo miliardo di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il parere positivo del comitato di esperti mondiali Unesco alla candidatura della “Cava e cerca del tartufo” per l’iscrizione nella lista dei patrimoni dell’umanità pubblicato sul sito dell’Unesco.
“L’annuncio avviene in un anno particolare per le condizioni climatiche che hanno fatto schizzare il prezzo medio del tartufo bianco a 450 euro all’etto al borsino del tartufo di Alba, punto di riferimento a livello nazionale per il tubero più prezioso d’Italia. A far alzare le quotazioni è stato il lungo periodo di siccità che ha frenato le nascite del pregiato tubero ma si spera ora – sottolinea la Coldiretti – negli effetti positivi del maltempo con le precipitazioni non stop da inizio autunno nelle regioni vocate per la raccolta, dalle Marche alla Calabria, dall’Umbria al Molise, dall’Abruzzo alla Toscana fino al Lazio e al Piemonte”.
“Il Tuber magnatum Pico – conclude la Coldiretti – coinvolge in Italia circa 200.000 raccoglitori ufficiali che riforniscono negozi e ristoranti che attendono la decisione finale prevista dal 13 al 18 dicembre”.
Con la decisione finale si concluderà un iter iniziato formalmente a marzo 2020. In Italia la ricerca e la raccolta dei tartufi è una pratica complessa, disciplinata da un’apposita normativa emanata per impedire che la ‘cava’ venga effettuata in modo da arrecare danno alle tartufaie. Il settore è disciplinato dalla legge del 16 dicembre 1985 n. 752, intitolata “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi destinati al consumo”. La normativa ha dato mandato alle Regioni di regolare la raccolta del tubero sul proprio territorio, stabilendo delle regole comuni.