L’improvvisa “ansia di verità” dell’ex tutto Giuliano Amato ha riportato il circo mediatico a reinteressarsi della strage di Ustica (27 giugno 1980). Noi di “Opinione pubblica” ci accodiamo. A modo nostro però. Ossia, criticamente. Abbiamo quindi deciso di riavvolgere il nastro e di ricominciare dall’inizio. Come sempre, cercando di andare al di là delle versioni ufficiali e/o di moda, ma senza scadere nel complottismo apodittico. Come fa nelle righe che seguono Peppe Carrese, storico, esperto ricercatore, nonché nostro vecchio collaboratore.

Chi leggerà potrà forse dubitare, e anche contestare, l’interpretazione data, ma non della veridicità dei dati e dei fatti. Poiché laddove si omettono o si distorcono o si travisano i fatti finisce il giornalismo, finisce la ricerca e inizia un’altra cosa. Che non ci appartiene.

Come Ustica Divenne “Mistero Italiano”

Parte prima: 7 AGOSTO 1986, La strana lettera di Cossiga

Ustica diventa “ufficialmente”, per così dire, l’ennesimo “mistero d’Italia” a ferragosto del 1986. Infatti, solo a partire da quella data le polemiche, le inchieste, gli “scoop” più o meno tali (spesso non si faceva altro che riportare con l’evidenza che avrebbero meritato all’epoca notizie note da anni) inizieranno a comparire con sempre maggiore frequenza su stampa e televisione. E, finalmente, non più nelle pagine interne, ma con lo spazio e il risalto che la vicenda avrebbe potuto (e dovuto) avere da sei anni prima. Giornali, ministri, parlamentari, forze politiche che per sei anni avevano trattato il caso come (per riprendere l’incredibile espressione usata dall’allora ministro socialista della Difesa Lelio Lagorio) “ordinaria amministrazione”1, dalla fine del 1986 “scoprono” la gravità senza paragoni del “mistero” di Ustica.

Ma persino nelle modalità con cui il caso diventa finalmente di interesse nazionale c’è, qualcosa che non torna.

Alla fine di giugno del 1986 Daria Bonfietti, sorella di una delle vittime, scrive all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Ovviamente, chiedendo che finalmente magistratura e governo si attivino per sapere la verità sulla tragedia. Bonfietti, in sintesi, aveva “semplicemente” chiesto che almeno il Governo provvedesse a stanziare i soldi per il recupero del relitto del DC9; senza lanciare accuse a militari, politici o Stati esteri. Ciò che lamentava, insomma, era non una volontà politica insabbiatrice (che ancora nessuno aveva motivo di supporre); ma, per quanto grave, un eccesso di negligenza.

Quanto poco, nell’estate 1986, interessasse il caso lo dimostra che “Repubblica” ne dà notizia con un trafiletto; mentre “la Stampa” ne parla in una rubrichetta di colore (“Persone”), assieme a una divagazione sulla generazione dei “paninari” sbarcata anche a Montecitorio2. Nessuna risposta. Che arriverà solo due mesi dopo, ossia, nel pieno delle vacanze estive, e solo perché alcuni dei parenti delle vittime e i loro avvocati si erano rivolti a eminenti parlamentari e giuristi tra cui Pietro Ingrao, Francesco Bonifacio, Stefano Rodotà; i quali, agli inizi di agosto, avevano ripreso l’appello dei parenti.

Agosto 1986: Cossiga dà lezioni di insabbiamento tombale

Così, il 7 agosto Cossiga scrive all’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Apparentemente, per un banale sollecito al governo sul caso. Ma, a rileggerla con attenzione, e tenendo anche presente la biografia politica (e persino l’aneddotica) sul suo autore, tale lettera appare decisamente singolare.

In breve: come se Cossiga avesse sì sollecitato, ma di, per così dire, “metterci una pietra sopra” una volta per tutte: Non solo: Cossiga, e non proprio implicitamente, sembrava “suggerire” che si dovesse giungere alla conclusione che di incidente e nient’altro si era trattato. Scriveva infatti Cossiga: «in occasione del sesto anniversario della sciagura di Ustica, è pervenuto al Presidente della Repubblica un accorato appello di alcuni parlamentari che sottolineano quanto sia improcrastinabile giungere ad accertare le cause del sinistro e quanto sia intollerabile che il silenzio delle autorità responsabili aumenti illazioni e sospetti che allarmano l’opinione pubblica»3.

Già da queste prime righe non può apparire evidente un dato di fatto: a parte che Cossiga non nomina nemmeno l’appello dei parenti, il Presidente della Repubblica definisce il caso “un sinistro”. Non “probabile”, “presunto”. Come se insomma fosse già stato accertato che di “sinistro” si trattava. Mentre ogni altra ipotesi è definita “illazione”.

Ed anzi, il “silenzio” sul caso è intollerabile non perché, come sarebbe ovvio, non si sa ancora la verità, ma solo perché genera le “illazioni suddette”. Ma è il passaggio successivo ad apparire ancor più sconcertante. Col senno del poi, una vera perla del ben noto stile cossighiano: «sono del fermo parere che il segreto istruttorio che circonda l’inchiesta giudiziaria per l’accertamento delle responsabilità, ancora in corso, non possa e non debba comportare rinvii e ritardi nella ricerca delle cause dell’incidente, di competenza del Ministro dei Trasporti»4.

Trattasi di incidente: parola di Presidente

Insomma, il presidente della Repubblica non ipotizza ma afferma che di incidente si tratta: in altri termini, più che suggerire di indagare, come si suol dire in queste circostanze, “in tutte le direzioni”, pare davvero fare il contrario: si lasci perdere ogni altra “illazione”, è stato un incidente e questo è quello che dev’essere dimostrato. In fretta, ovviamente. Del resto, a ulteriore conferma di questa interpretazione della lettera presidenziale, vi è quell’inciso obiettivamente singolare: le indagini “sono di competenza del ministero dei trasporti”. Una precisazione per certi versi persino fuori luogo. Perché il Presidente della Repubblica puntualizza che la “ricerca delle cause dell’incidente” è di “competenza del ministero dei trasporti”? Sembra davvero che, più che indicare di chi fosse “la competenza”, Cossiga volesse sottolineare di chi non dovesse essere. Per essere più chiari: chi non doveva essere coinvolto nelle indagini. Ed è chiaro che, in tal caso, non poteva trattarsi che dei militari (Servizi segreti delle Forze Armate, Stati maggiori delle diverse armi). Ma, in ogni caso, era (ed è) un’affermazione obiettivamente al limite dei suoi poteri: è noto che un Presidente della Repubblica non può certo intervenire su indagini in corso, “suggerendo” cosa fare e/o non fare, chi debba o non debba intervenire.

Non meno allusivo è il seguito della lettera. Che sembra suggerire una vera e propria “via d’uscita”. Se si dice una volta per tutte che è stato un incidente, le vittime possono essere risarcite e così non se ne parla più. Ma c’è dell’altro, di nuovo affidato a incisi e precisazioni sempre apparentemente ridondanti: «a parte il delicato problema risarcitorio per i familiari delle vittime, ogni ritardo comporta il rinvio delle eventuali misure correttive che potrebbero rivelarsi indispensabili per la prevenzione di altri incidenti e quindi per la tutela della vita umana»5.

Praticamente, quasi ogni singola parola di questo passaggio appare suggerire e/o ad alludere ben altro. A parte il fatto che, di nuovo, si parla di “incidenti”; strano, che Cossiga parli di “misure” che siano “correttive”: che intende con misure? Leggi, regolamenti, stanziamenti di fondi? E poi, perché “correttive” e non piuttosto misure di “potenziamento”, “ampliamento”, “miglioramento”?; Inoltre: strano che usi il condizionale in riferimento a tali “correzioni” da trovarsi e da usarsi (“potrebbero rivelarsi ecc.”) quando sarebbe stato più ovvio il futuro (“potranno rivelarsi”). Più chiaramente, come se Cossiga volesse dire: quello che è accaduto davvero è difficile che ricapiti, ma, ove mai dovesse accadere di nuovo, vediamo di non farci trovare impreparati. Come appunto con Ustica.

Ma strano è anche ciò che non c’è: misure correttive di cosa? Dei controlli degli aerei (revisione, manutenzione, ecc.)? Del sistema di controllo radar?

E infine, un ennesima puntualizzazione apparentemente ridondante anch’essa, ma che, proprio per la sua apparente inutilità, sembra più una limitazione: ciò che va tutelata è “la vita umana”. Dovrebbe essere ovvio. Ma, appunto, con ciò sembra più si voglia alludere a cosa andrebbe tutelato ma non si può dire: ad esempio, che la vita umana delle 81 vittime di Ustica avrebbe potuto essere tutelata con una maggior controllo dello spazio aereo italiano.

Ma un presidente della Repubblica non poteva certo scrivere che l’oggetto della tutela, per il futuro, era né più né meno che la sovranità nazionale.

A Bruxelles hanno mal di pancia: gli strani “malesseri comunitari”

Ed anzi, a proposito dei rapporti internazionali, non meno singolare era il fatto che Cossiga ritenesse di dover evidenziare come il succedersi, sulla stampa, di “illazioni” sulle vere cause della tragedia generava “malessere … negli ambienti comunitari”. Questo, per alcuni versi, può essere considerato il passaggio politicamente centrale della lettera di Cossiga. In poche parole, Cossiga riesce a essere al tempo stesso allusivo e minaccioso; ma anche (e persino) dà una “lezione” al Capo del Governo. Sono talmente tanti i punti che Cossiga tocca (volontariamente o meno) con sole quattro parole che vanno esaminati uno ad uno. Ovviamente il punto cardine è il riferimento (e la stessa locuzione usata) agli “ambienti comunitari”:

1) ma se è stato un “normale” incidente, perché tali “ambienti comunitari” si interessano, e dopo sei anni, tanto alla vicenda da “provarne malessere”?

2) ma se, come si è visto, di Ustica se ne parlava pochissimo, anzi pressoché per niente, come era possibile che un articoletto ogni tanto potesse generare addirittura “malessere” in questi “ambienti comunitari”?

3) Lui, Cossiga, come faceva a sapere di questo “malessere”?

Ovviamente, infine: 4) cosa intendeva Cossiga per “ambienti comunitari”? Anche qui, risulta evidente la assoluta non casualità della precisazione “comunitari” e della genericità del sostantivo “ambienti”. Con “comunitari” (letto alla luce di quanto è apparso in seguito) sembra proprio che Cossiga volesse intendere “agli americani Ustica non interessa; ma ai nostri alleati europei sì”.

Non solo: appunto non usando termini quali “continentali” o “europei”, ma facendo riferimento a un contesto istituzionale (l’Unione Europea), era come se Cossiga volesse alludere, di nuovo per omissione, ad un’altra istituzione non nominabile: la NATO. Più chiaramente: come se volesse intendere, “non è la NATO a preoccuparsi delle illazioni su Ustica, ma questo e/o quello alleato europeo”.

Che poi, infine usasse un termine così generico come “ambienti” è evidente: o erano ambienti “politici”, o “militari”, o tutt’e due. Chi doveva capire (cioè Craxi), avrebbe senz’altro capito.

Ora, perché Cossiga, da Presidente della Repubblica, aveva ritenuto di dover (e poter) intervenire in aspetti così direttamente di politica internazionale e giudiziari che, stante la caratterizzazione in senso parlamentare della nostra Repubblica, palesemente non avrebbe dovuto toccare (a parte poi il fatto, va ribadito, che, se davvero si trattava di un incidente, non si vede cosa c’entrasse la politica internazionale)?

Se si guarda alla biografia politica di Francesco Cossiga, la risposta appare persino scontata. Allora, nel 1986, ancora non lo si sapeva: eletto nel luglio del 1985, aveva mantenuto un atteggiamento estremamente discreto, intervenendo pochissime volte nel dibattito politico. Ma tale lettera era già in perfetta coerenza col personaggio che, a partire dal 1990, l’Italia avrebbe conosciuto come “picconatore” del sistema politico-istituzionale, protagonista di continue, torrenziali (e non di rado violentissime) esternazioni contro partiti, singoli esponenti politici; ma soprattutto, con una luciferina, quasi sadica, abilità nell’alludere, nel fare riferimenti più o meno minacciosi e oscuri a questo o quel “mistero d’Italia” e al ruolo che in esso vi avrebbe svolto questo o quel personaggio politico che (secondo il Cossiga diventato “picconatore”) ora faceva finta di “non sapere”.

E, nel fare ciò, sempre più o meno allusivamente, Cossiga faceva intendere che, se poteva dire quel che diceva, non era solo perché “sapeva”, ma anche perché in quei misteri e quei casi si era, come si suol dire, “sporcato le mani”. Rivendicando quasi compiaciuto questo ruolo.

Una “rivendicazione”, se così si può dire, del resto ampiamente giustificata: era stato sottosegretario alla Difesa, con delega ai servizi segreti, dal febbraio 1966 all’aprile del 1970 (cioè proprio all’epoca di Piazza Fontana e dell’ “autunno caldo”); poi, ministro dell’interno dal febbraio 1976 al maggio del 1978: quando si dimise in seguito all’uccisione di Moro. Come non bastasse, alla data del 27 giugno 1980 era proprio lui Presidente del Consiglio (dall’agosto del 1979 e fino all’ottobre del 1980).

Insomma, se c’era un politico che, in contesto complicato quale quello di Ustica, poteva sapere dove e come “mettere” ma soprattutto “non mettere le mani”, era proprio Cossiga.

Gran finale: la bacchettata sulle dita di Bettino

Dunque, niente di strano che Cossiga, che, va ripetuto, nella sua qualità di Presidente della repubblica “ufficialmente” nulla potesse e dovesse sapere di “malesseri di ambienti comunitari” in merito al fatto che, sia pure di rado e sia pure nel disinteresse generale, si continuasse a dire che forse era stato un missile a far precipitare il DC9, invece sapesse quanto c’era da sapere; persino ostentandolo. E, si suppone con quella stessa luciferina soddisfazione che avrebbe mostrato in seguito, faceva sapere a Craxi quello che il Presidente del Consiglio non avrebbe dovuto aspettare il Presidente della Repubblica per saperlo.

In altri e più chiari termini: egregio presidente del Consiglio, fatti insegnare da chi ne sa più di te: di questa storia non se ne deve parlare più, neanche quel poco che ogni tanto esce. Per cui, che si dica che è stato un incidente, si risarciscano (civilmente) i parenti e amen. Perché, se non lo sai te lo dico io, questa storia continua a dare fastidio non in Italia, ma fuori d’Italia. E ti dico anche come: innanzi tutto, che non si tirino in ballo i militari e/o i servizi segreti. C’è la Commissione Luzzatti attivata (nel dicembre 1980) dal ministro dei trasporti? Ecco, usate le risultanze di quella commissione, che, in estrema sintesi, aveva detto che senza recuperare i resti dell’aereo era inutile continuare. E infatti si era “autosciolta” agli inizi dell’82. Perciò, diceva Cossiga, sbrigatevi a recuperare il relitto: “Ella, signor presidente del Consiglio, vorrà condividere le mie preoccupazioni e la mia sensibilità sulla necessità che si ponga finalmente fine a questo stato di cose, e si pervenga finalmente alla decisione, forse onerosa ma necessaria di percorrere tutte le vie nella direzione dalla Commissione che ha recentemente concluso l’inchiesta tecnico-formale”6. Se non è una vera e propria bacchettata sulle dita questa …

Insomma, un altro impagabile esempio di stile cossighiano. Molto vicina a un pizzino (anche se nell’86 il termine ancora non era di moda): Cossiga fa chiaramente capire di sapere che l’aereo non lo si vuole recuperare con la scusa dei soldi (la “decisione forse onerosa”); ma, per usare un eufemismo, “sollecita” il governo a trovarli. Ma: attenzione però: che questa operazione serva a confermare le conclusioni della commissione, ossia: è stato un incidente, forse una bomba.

Si noti: qui Cossiga è esplicito, perentorio, duro, senza mezzi termini: percorrere tutte le vie nella direzione dalla Commissione”.

Non pare affatto casuale, del resto, che Cossiga, pur così prodigo di suggerimenti, “dimentichi” di “consigliare” governo e magistratura a sollecitare l’acquisizione dei tracciati radar, ad esempio7. Né pare casuale il fatto che Cossiga “dimentichi” il modo in cui la Commissione, per usare le sua parole, “aveva recentemente concluso l’inchiesta tecnico-formale”: in pratica polemicamente “autosciogliendosi” proprio perché non era più messa in grado di lavorare.

La risposta di Craxi fu alquanto maldestra ma non meno perfida: inviò a Cossiga il rapporto conclusivo della Commissione Luzzatti del marzo 1982. Ed è difficile, per non dire impossibile, che Cossiga non lo conoscesse già; e che Craxi non sapesse che Cossiga lo conosceva. Come dire: se tu vuoi il silenzio tombale io ti scateno il casino generale. E infatti: risultato pratico, quanto si diceva all’inizio. La stampa ora pubblicava, come fossero novità sensazionali, le stesse identiche notizie di quattro anni prima, ma col triplo del risalto; ad esempio, l’intera (o quasi) pagina 2 de “la Stampa” del 28 agosto 1986.

Nella stessa pagina, un piccolo trafiletto: Palazzo Chigi (cioè la Presidenza del Consiglio dei Ministri) precisava, in un comunicato ufficiale che quel tale aereo militare libico precipitato il 14 luglio 1980 sulla Sila, in Calabria non c’entrava niente con la vicenda di Ustica8. Diciamo che era una mera coincidenza…

A questo, forse Cossiga non ci aveva pensato. Adesso, invece di diventare una volta per tutte uno “strano incidente”, Ustica stava per diventare un giallo dai contorni sempre più inquietanti. In cui, per giunta, entrava in scena persino uno dei protagonisti della politica internazionale (per non dire mondiale) di quegli anni, Muhammar Gheddafi.

Ma a ciò c’avrebbe pensato l’ineffabile allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Giuliano Amato. Come si vedrà nella seconda parte, restituendo pan per focaccia a Cossiga: ossia, laddove questi voleva e pretendeva che di incidente, e solo di incidente, si parlasse, Amato avvierà invece, e nel modo più spettacolare possibile, il Gran Circo di Ustica.

Quando si dice amore disinteressato per la verità….

1 E. Ameilo – A. Benedetti, IH870. Il volo spezzato, Roma, Editori Riuniti, 2005, p. 76.

2 L. Tornabuoni, Una donna e l’aereo di Ustica, in “la Stampa”, 26 giugno 1986.

3Un silenzio intollerabile”, s. a., in “la Stampa”, 28 agosto 1986.

4 Ibidem.

5 Ibidem.

6Un silenzio intollerabile”, art. cit.

7 per quanto possa sembrare oggi assurdo, nel 1986 l’aeronautica non aveva ancora dato agli inquirenti nessun tracciato radar dei 5 centri di controllo interessati (Ciampino, Licola, Martina franca, Marsala). Ma nemmeno gli inquirenti s’erano affaticati più di tanto per sollecitarne l’acquisizione.

8non c’entra il mig libico precipitato quell’estate in calabria”, s. a., in “la stampa”, 28 agosto 1986.