
Al Parlamento Europeo di Bruxelles, giorni fa, la maggior parte dei rappresentanti europei aveva votato per riconoscere Juan Guaidò al posto di Nicolas Maduro nel ruolo di Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Solo i parlamentari italiani di Lega e Movimento 5 Stelle si erano astenuti, sottraendo il governo italiano da un grave e palese arbitrio nei confronti del diritto internazionale, che da sempre sancisce il peraltro mai veramente rispettato principio della “non ingerenza” negli affari interni di un altro Paese.
Successivamente, a Bucarest, si era tenuto il vertice intergovernativo fra i capi delle varie diplomazie europee, ed anche in quel caso l’Italia aveva ribadito la sua linea di sostanziale equidistanza fra Guaidò e Maduro, ma comunque ossequiante alla “non ingerenza”, mettendo il veto alla risoluzione ereditata proprio dalla precedente votazione all’Europarlamento e che chiedeva di riconoscere, come Unione Europea, Guaidò quale Presidente venezuelano al posto di Maduro. Come sappiamo, le reazioni nei confronti del governo italiano, da parte degli altri partner europei così come degli Stati Uniti e dello stesso Guaidò, erano state a dir poco isteriche, sfociando in avvertimenti palesemente mafiosi.
La linea è stata infine ribadita ieri dal Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi al Parlamento italiano, dove ancora è stato detto che Guaidò non viene riconosciuto quale legittimo Presidente del Venezuela, anche se il governo italiano s’impegnerà ad esercitare maggiori pressioni su Caracas affinché s’indicano nuove elezioni, dal momento che quelle dello scorso maggio vengono a questo punto giudicate come “illegittime”. Si è trattata di una mediazione fra Lega e Movimento 5 Stelle, che comunque ben distanzia ancora il governo italiano dalla posizione totalmente filo-Guaidò del resto d’Europa e, soprattutto, delle opposizioni. Il PD, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno infatti prontamente levato gli scudi, parlando di un’Italia sempre più isolata dentro l’Europa.
Il punto, però, è che questa Europa fra due mesi avrà elettoralmente e politicamente cambiato faccia, e comunque il mondo non finisce di certo a Bruxelles: 160 paesi fra i 198 presenti e riconosciuti alle Nazioni Unite, infatti, continuano a riconoscere Maduro come legittimo Presidente venezuelano anziché Guaidò. L’impressione è che ad essere isolati siano, piuttosto, i neanche 40 paesi rimanenti, concentrati fra Unione Europea, Stati Uniti, Canada e i vari Stati ancillari dell’America Latina: in sostanza, il G7 e quei pochi che ancora gli vanno dietro.
Non dovrebbe sfuggire all’attenzione il fatto che Salvini, che poco prima del voto aveva parlato proprio con Guaidò, abbia poi dato alla Lega l’indicazione di votare secondo la mozione di Moavero, condivisa coi 5 Stelle. In sostanza, ha lasciato parlare Guaidò, gli ha detto di starsene pure tranquillo e poi gliel’ha messo, come si suol dire, in quel posto. Da questo punto di vista abbiamo finalmente saputo fare gli italiani nel modo giusto, e con gli esiti migliori. Il golpista venezuelano continuerà ancora a latrare, ma all’atto pratico resta che un golpe che dura da tre settimane è, sostanzialmente, un golpe fallito: ormai è, piuttosto, una strategia della tensione volta ad esportare anche in Venezuela il modello libico e siriano delle “rivoluzioni colorate” e delle “guerre” altrettanto “colorate”, ma con la differenza che negli ultimi anni gli equilibri internazionali e i relativi rapporti di forza sono decisamente cambiati, con paesi come Russia e Cina non più soltanto determinanti ma persino decisivi ed inevitabili per trovare la quadra nelle varie crisi internazionali, peraltro provocate sempre e solo dai soliti “euro-americani”. In sintesi, il problema dell’odierna Unione Europea (così come degli Stati Uniti, ma ciò indipendentemente da chi sia il loro Presidente: Trump, Obama, Bush o Clinton non farebbero differenza) è proprio quello di non voler accettare quel minimo e, a questo punto pure decoroso, “bagno d’umiltà” che invece servirebbe ad uscire dall’impasse autoinflittasi.
Giuseppe Conte, durante il “linciaggio” di cui è stato reso oggetto da parte dei parlamentari più “eurofondamentalisti” di Strasburgo, ha così commentato la faccenda: “Molti vogliono anticipare la storia, occorrerebbe prudenza. Noi non riteniamo di poter incoronare nessuno che non passi da elezioni libere”. Ai tempi d’oggi, potrebbe sembrare una linea persino fin troppo calma o prudente, ma se guardiamo quali sono le posizioni sostenute dagli altri governi europei, ci rendiamo conto che in confronto a loro Conte passa quasi da rivoluzionario in odor di castrismo (o chavismo, se preferiamo). La cosa bella è che, invece, è la stessa posizione dei vecchi dorotei della DC della Prima Repubblica, Aldo Moro in primis, che per esempio nel 1973 durante la Guerra dello Yom Kippur dichiarò l’equidistanza dell’Italia nel conflitto fra israeliani ed arabo-palestinesi, al punto da non concedere neppure ad Israele l’uso delle basi italiane che sarebbero servite ad ampliare la guerra su più ampia scala, in modo da colpire soprattutto i paesi arabi del Nord Africa (non solo Egitto, ma anche Libia ed Algeria). Sappiamo che quella scelta, il povero Aldo Moro, la pagò duramente. Speriamo che anche stavolta non sia così.