Fu considerato all’epoca un accordo storico, quello siglato tra Unione Sovietica e Stati Uniti l’8 dicembre 1987. Dopo decenni in cui le due superpotenze si sfidavano su una sorta di “equilibrio del terrore” l’incubo di una guerra nucleare sembrava finito.

L’accordo prevedeva l’eliminazione dei missili a raggio intermedio che i due paesi avevano installato in Europa. Già nel 2014 Obama aveva dichiarato che vi fosse il fondato sospetto che la Russia non rispettasse l’accordo già da alcuni anni. Si è tornato a parlare delle presunte violazioni della Russia nelle ultime settimane, quando Trump aveva preannunciato l’uscita dal trattato in quanto si dava per quasi certa la produzione da parte di Mosca di missili nucleari a media gittata (tra i 500 e i 5000 km).

L’annuncio del ritiro degli Usa dall’accordo è stato formalmente annunciato dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo che ha accusato senza mezzi termini la Russia di violazioni ripetute dell’accordo, arrivando a sostenere che il paese guidato da Putin stia sviluppando segretamente un sistema missilistico che rappresenterebbe una minaccia per gli Usa e i suoi alleati.

L’uscita dal trattato da parte degli Usa è vista come una minaccia da parte della Russia, come dichiarato dal vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov che ha ribadito che il paese sta già approntando misure per garantire la sicurezza nazionale.

Il ritiro dell’accordo avverrà in sei mesi, a meno che, come ha dichiarato Pompeo la Russia non torni a rispettare gli accordi. La mossa americana in realtà nasconde una volontà di riarmo causata anche dal fatto che la Cina (che non faceva parte dell’accordo) ha mano libera nella produzione di missili a corto e medio raggio. Di sicuro l’espansione ad Est della Nato e il ritiro degli Usa dal trattato di non proliferazione sono figlie di una stessa manovra: mettere pressione alla Russia riesumando politiche da piena Guerra Fredda e fomentare la diffidenza (se non un una vera e propria russofobia) nei confronti del paese guidato da Putin.

Alessandro Ametta