Questa sera si affrontano allo Stadio Loro Boriçi di Scutari le nazionali di Albania e Italia, in una gara valida per le qualificazioni ai Mondiali di Russia del 2018.
Per gentile concessione degli autori pubblichiamo un estratto del volume “Storia del calcio cinese” di Marco Bagozzi ed Andrea Bisceglia, edito da Bradipo Libri, che racconta il rapporto che negli anni ’70 venne a crearsi tra la federazione calcistica albanese e quella cinese.

 

 

Il 16 novembre del 1960, alla Conferenza dei Partiti Comunisti e Operai di Mosca, il leader del Partito del Lavoro d’Albania aveva duramente criticato il principio della “coesistenza pacifica” voluto da Chruščëv. Il Presidente albanese allora avvicinò il suo paese alla Cina in seguito alla crisi sino-sovietica e nel 1968 si ritirò dal Patto di Varsavia. Negli anni successivi si ispirò anche alla Rivoluzione Culturale per rafforzare la sua leadership. I rapporti tra Cina ed Albania si facevano quindi molto forti: per gli albanesi l’enorme paese asiatico era il principale sbocco della poco sviluppata economia, oltre ad un supporto strategico e tecnologico fondamentale; per i cinesi un cuneo nel centro dei Balcani era un punto di riferimento strategico non da poco. Anche a livello sportivo gli scambi tra le due nazioni socialiste erano molto sviluppati, in particolare nel calcio.

Nell’estate del 1972 la Federata Shqiptare e Futbollit, su richiesta delle autorità cinesi, invia in Asia il miglior talento locale: si tratta di Loro Boriçi, già calciatore di Lazio, Vllaznia, Dinamo Tirana e Spartak Tirana. Nei tre anni in cui è rimasto in Cina, Boriçi ha girato tutte le province, ha allenato la nazionale e ha fatto varie selezioni oltre a formare diverse squadre durante i campionati nazionali e minori. Il suo ruolo in Cina è tutt’ora considerato al massimo livello come uno dei “fondatori del calcio cinese”. Per il suo impegno Boriçi non richiese alcun stipendio e lavorò da volontario, salvo chiedere una fornitura giornaliera di sigarette, come unico “rimborso spese”.

Un altro esempio di amicizia sino-albanese è quello relativo alla partita tra la squadra dell’Hunan e la Labinoti di Elbasan. Il 21 luglio le due squadre si sfidano a Shaoshan (nella regione dell’Hunan, appunto), città natale di Mao Zedong. A metà del primo tempo Pëllumb Himçi, conquista la palla, dribbla l’intera difesa avversaria e anche il portiere prima di fermarsi sulla riga di porta e calciare fuori:
«agli amici cinesi non potevo segnare un gol in quel modo, per di più contro la squadra del paese natale di Mao e avevo anche paura di un rimprovero. Mi sono fermato e non ho tirato e quando sono rientrato a centrocampo ho stretto la mano ai calciatori cinesi, in segno di amicizia. Loro rimasero stupefatti e dal megafono rimbombava l’augurio “viva l’amicizia”, “bravo Cimci!” (il soprannome di Himçi) e “non ha nessun valore il gol rispetto all’amicizia”» (1).
Nonostante il gesto di “fair play socialista” la squadra del Labinoti vinse per 3-1. In quella stessa tournee i cinesi videro per la prima volta i “cartellini” giallo e rosso, istituiti l’anno prima dalla FIFA per i mondiali messicani del 1970.
L’alleanza di ferro sino-albanese durò fino al luglio 1978, quando Hoxha si erse a baluardo anti-revisionista e lanciava duri strali all’ormai ex alleato pechinese. Il 7 luglio 1978 Radio Pechino dovette annunciare con rammarico che «il Ministero degli esteri della Repubblica Popolare Cinese ha inviato una nota all’ambasciata albanese in Cina sul fatto che la Cina è stata costretta a sospendere la sua assistenza all’Albania e a ritirare i suoi esperti» (2).

 

NOTE

(1) Miqësia me Kinën, kur kampionët prashitnin arat në Shqipëri , in Panorama Sport, https://www.panorama.com.al/sport/miqesia-me-kinen-kur-kampionet-prashitnin-arat-ne-shqiperi/ (traduzione in italiano di Silvi Spahi)
(2) La Cina costretta a sospendere l’aiuto all’Albania, Radio Pechino, luglio 1978