Per prima cosa, la ringraziamo per averci concesso la sua disponibilità per questa intervista.
È un piacere avere l’opportunità di interagire con voi e i vostri lettori.
Cos’è successo in Argentina? Al primo turno Scioli era in vantaggio, mentre al secondo turno ha vinto Macri. Come spiega questo cambiamento avvenuto in pochi giorni nell’elettorato argentino?
Nella confrontare primo turno elettorale e ballottaggio occorre non dimenticare le forze politiche estromesse dalla corsa finale. Parliamo nella fattispecie del FRENTE RENOVADOR (FR) di Sergio Massa che al primo turno aveva comunque il 21,34% dei voti. Questa formazione politica pur rimanendo in orbita peronista, nasce da una scissione interna al Frente Para la Victoria. Un distacco dovuto proprio al crescente dissenso di Massa nei confronti della politica kirchnerista proprio nel momento della sua formazione (2009). È bene a questo punto fare una puntualizzazione: storicamente il peronismo accoglie al suo interno visioni anche diametralmente opposte che negli anni hanno sempre sofferto il raggiungimento di una visione ideologica omogenea. Con il tempo destra e sinistra sono riuscite a distinguersi pur preservando nella loro visione generale il termine “peronismo”. Nella visione politica socialista e peronista si è formato Néstor Kirchner che nel pieno del default del 2002 si è ritrovato inaspettatamente alla guida del paese. Da qui al 2007 possiamo parlare quindi di socialismo peronista. Con il subentro di Cristina Fernández de Kirchner alla guida del paese il modello politico ha subito una forte connotazione personalistica (ne senso che si va a plasmare sul carisma del suo leader finendo con il riconoscersi in questo stesso) evolvendosi in kircnerismo. Ecco perché quindi affermo che Massa abbandona il progetto proprio nel momento in cui questo inizia ad identificarsi in tutto e per tutto con il suo leader. Ovviamente Massa non abbandona il Frente Para la Victoria a causa del carisma della Kirchner, bensì per una più concreta non condivisione delle scelte politiche della stessa presidentessa. Si intuisce quindi che nel Frente Renovador sono confluiti tutti i dissidenti del Frente Para la Victoria, molti dei quali al momento del ballottaggio hanno preferito rimanere coerenti con il loro dissenso nei confronti del kirchnerismo nonostante la dichiarazione pubblica di Massa in favore della presidenza di Scioli. In definitiva il sorpasso è avvenuto quando i dissidenti sono stati obbligati a scegliere.
A suo giudizio, quali sono le ragioni per cui Scioli non ha vinto? Le cause vanno forse ricercate nel bilancio dell’ultimo mandato della Presidenta Kirchner?
Sono tre gli aspetti da considerare in questa sconfitta politica: il personalismo, l’evoluzione del progetto in termini reali ed infine il carisma di Scioli. Partiamo dal più banale di questi aspetti ovvero il carisma del candidato peronista. Con il senno di poi si potrebbe argomentare su qualsiasi altro candidato in sostituzione a Scioli, ma la realtà è che chiunque sarebbe stato offuscato dalla figura carismatica del presidente uscente Cristina Kirchner. Con questo giungiamo al primo aspetto elencato ovvero il personalismo. Come detto prima e come si è verificato anche in Venezuela, vi è uno slittamento progressivo e marcato del progetto politico da una connotazione partitica ad una prettamente plasmata sul leader. A mio avviso questo è un grave errore che se da un lato ha tutto il pregio di mettere in risalto il carisma e la capacità di leadership del singolo individuo, dall’altro lato destabilizza il progetto politico in sé. Mi spiego: con il personalismo, il popolo distoglie la sua attenzione dal progetto politico iniziale e focalizza il suo consenso sul singolo soggetto. Tale distorsione genera i suoi effetti negativi nel momento in cui il leader viene a mancare (fisicamente o per sopravvenuta ineleggibilità costituzionale). L’effetto è quello di un vero e proprio “lutto di massa” e conseguente “disorientamento politico” in quanto ci si ritrova a non conoscere il vero progetto politico, ma semplicemente il soggetto politico. Nella fase del “disorientamento politico” paradossalmente si può generare anche una diffidenza nei confronti di chiunque altro venga presentato quale erede politico del leader. È successo a Maduro ancor prima di Scioli solo che quest’ultimo ha avuto gli effetti peggiori (sconfitta elettorale). Infine c’è da considerare l’evoluzione del progetto politico in termini reali. I 12 del Frente Para la Victoria alla guida del Paese sono distinguibili in due parti. La prima vede un grande dinamismo sia interno che esterno ed ha come protagonista Néstor Kirchner. All’interno si ricostruisce una nazione all’indomani di un default (2002) catastrofico e lo si fa con successo tanto da annullare il debito accumulato verso i creditori esteri (FMI in primis). Si fa anche di più: si estromette il FMI dalla vita economica del paese e si argina l’influenza degli Stati Uniti nella regione (veto nei confronti dell’ALCA nel 2005). Inoltre a livello regionale l’Argentina cerca di dare impulso all’unità commerciale (ristrutturazione del Mercosur) e partecipa attivamente ad un progetto politico regionale a più ampio respiro (Unasur). Tuttavia ogni progetto politico necessita un rinnovamento ed un adattamento alle nuove sfide sociali ed economiche che si presentano e purtroppo con l’ascesa di Cristina Kirchner (moglie del defunto Néstor prematuramente scomparso nel 2007) ciò non è avvenuto. Appare più che altro una cristallizzazione politica dannosa dal punto di vista interno ed esterno. Internamente si è finiti con il deteriorare l’economia ed esternamente si sono intaccati molti dei già precari equilibri internazionali (Stati Uniti, Inghilterra, Uruguay, etc…). Con ciò non dico che è fondamentale avere rapporti con il Nord America, ma diversificare il proprio portafoglio di relazioni commerciali è la miglior strategia per evitare che la propria economia subisca ripercussioni cicliche e/o destabilizzazioni indotte artificiosamente (speculazione finanziaria e guerra valutaria).
Considerando anche i primi giorni di Macri come Presidente, cosa s’aspetta per l’Argentina? Pensa che Macri riuscirà a praticare un’inversione ad U della politica interna ed estera argentina o che dovrà invece continuare a conformarsi al processo d’integrazione latinoamericano?
Per avere un miglioramento reale e continuativa occorrerebbe, a mio avviso, partire da una redistribuzione geografica del potere. Ad oggi il centro politico ed economico del paese è la città di Buenos Aires e ciò ostacola lo sviluppo di altre regioni del Paese. Un decentramento permetterebbe anche alle aree del sud di ricollocarsi positivamente nel ciclo attivo di produzione di valore del paese. Questo francamente non credo che avverrà in quanto gli interessi dell’oligarchia concentrata nella capitale del paese sono troppo forti per essere ridimensionati per il bene nazionale. Lo stesso Macri trova nella capitale una roccaforte di consenso dalla quale partire nella costruzione del suo progetto politico. Indubbiamente ci sarà una nuova apertura agli investimenti diretti esteri, una svalutazione del pesos (per arginare il mercato nero del dollaro) ed un ripristino di un dialogo aperto con Washington e FMI. Un tema delicato questo che tuttavia se ben calibrato potrebbe non ledere alle ambizioni di sviluppo del paese. Usiamo il condizionale perché un approccio troppo liberale finirebbe alla lunga con il deteriorare ulteriormente l’economia nazionale. Condizione indispensabile sarà la tutela di rapporti di cooperazione già in essere con Cina e Russia, fattore che come detto prima permette di costruire un’economia anti ciclica (che non risente di crisi periodiche del modello liberale). Ci sarà anche da capire come Macri procederà nei confronti del debito estero. Il neo eletto presidente si è sempre schierato per una rinegoziazione dello stesso e pertanto assisteremo presto ad un incontro tra governo, creditori esteri e FMI. Sul tema regionale invece la situazione è ancor più delicata. La stampa nazionale ha subito insinuato un ribaltamento dei rapporti con il Venezuela ad esempio, insinuando la necessaria estromissione di Caracas dal Mercosur in quanto priva della condizione necessaria di “paese democratico”. Vedremo cosa accadrà, ma resta il fatto che non sarà una sorpresa se Buenos Aires inizierà a chiedere informazioni tecniche sull’Alleanza del Pacifico. Purtroppo l’integrazione latinoamericana continua ad essere nei fatti un tabù vista la divergenza di interessi che in questa si trovano (non a caso la regione è oggetto di un altissimo numero di progetti regionali e sub regionali che non aiutano alla definizione di un percorso di partenariato stabile).
A suo giudizio l’Argentina di Macri tornerà ad essere come quella di Menem, totalmente filo-Washington, oppure si terrà in una posizione d’equidistanza fra l’America Latina sempre più integrata e gli Stati Uniti?
Ovviamente dal punto di vista pratico la condizione ideale per Buenos Aires sarebbe l’equidistanza, ma la realtà molto spesso finisce con il non ottemperare alla condizione di equilibrio. Come detto l’integrazione regionale è un discorso relativo e dipende dalla prospettiva dalla quale questa viene guardata (Unasur, Mercosur, Alba, CELAC, Patto Andino o Alleanza del Pacifico). Ovviamente ci sarà un riavvicinamento a Washington e al FMI e da questo si dovrà partire per capire quanto Buenos Aires si allontanerà dal contesto regionale sino ad ora condiviso.
Sotto la Kirchner sono state operate importanti scelte politiche, sociali ed economiche. Per esempio alcune aziende strategiche sono state nuovamente nazionalizzate. Secondo lei Macri le privatizzerà di nuovo o anche in questo caso dovrà fare i conti con un parlamento dominato dall’opposizione?
Sulle privatizzazioni Macri si è espresso in campagna elettorale in modo favorevole ed in particolare parlando della YPF (azienda petrolifera argentina), il leader di Proposta Repubblicana ha mantenuto una posizione apertamente nazionalista. Allo stesso modo Macri ha ribadito la legittimità della sovranità argentina sull’Arcipelago delle Malvinas (un tema molto caro all’elettorato argentino e che va ben oltre la concezione politica risvegliando un orgoglio nazionale universalmente condiviso). Tuttavia ora si dovrà giungere ai fatti e con il tempo potrebbe avvenire anche un’inversione di marcia sulle aziende pubbliche. Molto dipenderà dallo stato di salute delle casse nazionali e dai progetti di cambiamento che verranno sviluppati a livello sociale ed economico.
Quali sono state, e secondo lei quali saranno più avanti, le reazioni degli altri governi latinoamericani all’avvento di Macri? E quali potranno essere le ripercussioni?
Assistiamo indubbiamente ad una crisi del socialismo latinoamericano. Le prime avvisaglie si sono verificate in Venezuela con l’elezione di Maduro (2013 – 50.78% dei voti), poi con la rielezione di Dilma Rousseff (2014 – 51,60% dei voti), infine si è giunti alla sconfitta di Scioli in Argentina (2015 – 48,60%) e l’anno non si è ancora concluso in quanto il 6 dicembre si terranno in Venezuela le elezioni legislative per le quali non escludo ulteriori sorprese. A mio avviso il socialismo latinoamericano nella sua proiezione reale dimostra gravi limiti strutturali. Innanzi tutto tende a mistificare i propri leader, quando in realtà è il progetto che deve avere rilievo a prescindere dalle persone che di volta in volta si susseguono nella sua interpretazione. Come detto la distorsione provoca “lutto di massa” e subito dopo “disorientamento politico”. La fidelizzazione politica deve basarsi sul progetto e non sugli interpreti. Ciò non toglie che uomini come Chavez sono stati fondamentali per i risultati sino ad oggi ottenuti e solo grazie al leader bolivarista si è iniziato a parlare di “Indipendenza del XXI secolo” del continente latinoamericano. Tuttavia la mistificazione dello stesso ha finito con il deteriorare il progetto politico creato dietro la sua figura carismatica. Altro errore del socialismo latinoamericano è l’eccessivo utilizzo di misure assistenziali che se da un lato hanno il pregio di riequilibrare il benessere sociale generale nel breve periodo, dall’altro lato finiscono per creare strutture clientelari nel lungo periodo ed il consenso finisce per confondersi con un rapporto di dare e avere. Le misure assistenziali dovrebbero essere utilizzate come strumento per riportare le classi meno agiate ad una condizione di parte integrante e attiva della vita sociale ed economica del paese. Ciò vuol dire che devono essere limitate nel tempo e non tramutarsi in uno status quo di durata indeterminata. Una tale involuzione comporta la formazione di uno strato sociale passivo e che trova ragione di sostentamento solo ed esclusivamente nelle agevolazioni pubbliche sentendosene appagato. Interessante sarebbe vedere un riequilibrio dell’assistenzialismo di modo che diventi strumento di reinserimento sociale ed economico dei soggetti e allo stesso tempo la creazione di zone franche ovvero aree delimitate nello spazio in cui si concentrano i flussi di investimento estero. Queste aree a mio avviso hanno positive ripercussioni sulle aree limitrofe nelle quali si possono sviluppare attività accessorie e funzionali a quelle a capitale straniero. Un esempio concreto ci viene dato dall’Uruguay che ha sviluppato una ZF nel porto di Montevideo e da qui ha costruito un’interconnessione logistica capace di dare impulso ad altre attività al di fuori della stessa ZF. Oggi l’Uruguay è un importante centro di smistamento commerciale per tutta la regione connettendo questa al resto del mondo. A tal proposito anche Cuba sta creando una ZF nei pressi del porto di Mariel, una strategia che potrebbe fruttare grandi vantaggi per la grande isola caraibica che si apre sempre di più al commercio internazionale.
In definitiva occorre capire che un progetto politico non può essere elevato a “modello assoluto”, ma deve avere la capacità di adattarsi all’evoluzione sociale ed economica del contesto in cui si va ad applicare senza tralasciare ciò che avviene all’esterno. Un modello per sopravvivere e dimostrarsi vincente, deve essere quindi dinamico e non fossilizzarsi su dogmi presto superati dall’emergere di nuove esigenze sociali, politiche ed economiche.