
Nello Yemen si assiste ormai da anni a un conflitto tra i più dimenticati e tragici del globo, e su cui è calato un silenzio assordante. In un paese tra i più poveri del mondo dove 27 milioni di abitanti soffrono dal marzo 2015, è esplosa anche un’emergenza umanitaria senza precedenti. Si muore soprattutto per le conseguenze del conflitto, di fame e di sete, per il colera, per il morbillo, o per mancanza di medicine o di sangue.
Dopo l’omicidio di Kashoggi, che dalle colonne del Washingthon Post scrisse su questa guerra e che in circostanze ancora tutte da chiarire è stato eliminato il 2 ottobre 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul, pare finalmente levarsi un certo dibattito sul conflitto e sulla vendita delle armi. In realtà il conflitto nasce molto prima, nel 2011, dalla disintegrazione dell’unità nazionale e dall’emersione degli Houti. Va anche ricordato che tale unità era stata peraltro già faticosamente raggiunta con un precedente conflitto armato tra Nord e Sud.
Sul territorio aspro, montuoso e desertico dello Yemen oggi si contrastano gli Houti, la coalizione saudita – emiratina e le milizie di al Qaeda, distribuiti a macchia di leopardo. Pochissimi sono i reporter presenti sul campo. Per ora la battaglia (forse decisiva) per il controllo del porto del Mar Rosso di Hodeida rimane sospesa, e le negoziazioni attualmente in corso a Stoccolma hanno come oggetto solo lo scambio dei prigionieri, e non vedono al tavolo né sauditi né iraniani.
Dalla cortina di silenzio e indifferenza filtrano immagini terribili dei bambini yemeniti denutriti: durante l’estate 2018 i sauditi hanno ucciso in un solo giorno con un loro bombardamento aerei cinquanta civili nella capitale Sanaa, mentre i droni americani che partono da Gibuti martellano il territorio. Di contro, gli Houti utilizzano bambini – soldato e inviano missili verso Riad.
L’ONU sta cercando di convincere gli Houti di riaprire il citato porto di Hodeida per far affluire gli aiuti umanitari. Il presidente Trump, malgrado cominci a levarsi qualche voce dissenziente nel Congresso USA, sta continuando a sostenere incondizionatamente l’alleato saudita, e l’Occidente continua a rifornire di armi il conflitto: anche l’Italia è una “parte” in causa in questo conflitto, visto che la società produttrice delle bombe utilizzate dai sauditi, la Rwm Italia Spa, è di proprietà della tedesca Rheinmetall, ma con sede a Ghedi, in provincia di Brescia, e con uno stabilimento in Domusnovas, nel cagliaritano.
Ma la situazione più grave ed allarmante è sicuramente quella sanitaria. Nel paese opera solo Medici senza Frontiere (MsF) con 12 ospedali, anche se le sue strutture ospedaliere di Sad’a sono state bombardate per ben cinque volte. Nessuno ne parla, ma quando le guerre proseguono per anni si generano continue nuove emergenze. Non si muore solo per le bombe ma anche e soprattutto per le malattie, e spesso anche per banali infezioni non curate.
Il colera nello Yemen è endemico, in quanto l’acqua non viene più potabilizzata col cloro. Il sistema sanitario yemenita non esiste più di fatto dal 2016, da quando la Banca Nazionale Yemenita non paga più i medici: i blocchi navali impediscono l’accesso ai farmaci, sempre più rari e costosi e venduti al mercato nero. Il sangue non mancherebbe, vista la tradizionale disponibilità degli yemeniti alla donazione, ma mancano materialmente le sacche per conservarlo.
I numeri sulla malnutrizione non li conosciamo, ma il paese sta scontando oggi anche l’eccessiva dipendenza dal chat che ha portato all’abbandono delle colture tradizionali (patate, caffè, ecc.) e le drammatiche carenze idriche. Le madri smettono di allattare molto presto i propri figli a differenza dei paesi africani.
Meno del 50% delle strutture sanitarie presenti sulla carta sono effettivamente operative. E spesso l’intervento umanitario, che dà priorità ai feriti di guerra, si dimentica che si può morire anche per un banale morbillo (visto che non ci sono più vaccini). Salvare un malato colerico sarebbe facilissimo, ma spesso manca anche l’acqua potabile.
Ma questa guerra assurda continua. Tutti sanno che non esiste una soluzione finale militare, e quello dello Yemen è un territorio impervio e desertico forse addirittura più ostico di quello afghano, e dove la guerriglia degli Houti e di al Qaeda potrebbe durare decenni. I sauditi bombardano il nord per questioni strategiche.
Gli Houti rivendicano le loro istanze secessionistiche, e proprio l’intervento militare saudita li ha spinti nelle braccia degli iraniani e degli Hezbollah. Gli emiratini, presenti in questo conflitto fin dall’inizio, hanno obiettivi diversi dai sauditi. Si occupano infatti delle questioni militari “di terra” (mentre i sauditi bombardano con gli aerei) e armano le milizie del sud (es. Aden), che portano avanti anch’esse istanze secessionistiche, per contenere i gruppi legati alla Fratellanza Musulmana, a sua volta appoggiati dalla Turchia e da al Qaeda. Gli emiratini combattono contro al Qaeda anche nella valle dell’Hadramaut e ad Al-Mukalla.
Dopo la citata morte di Kashoggi, i sauditi sono sicuramente più deboli rispetto al 2015, anno in cui è iniziato questo conflitto, e non hanno visto alcun beneficio dall’intervento militare, mentre gli emiratini si sono ritagliati solide nicchie di potere nel sud, ad Aden, e probabilmente hanno sottoscritto anche accordi col governo eritreo per l’uso della base navale di Assab. Lo Yemen, pur essendo un paese poverissimo è posizionato strategicamente sul Bab-el-Mandem, dove transitano quattro milioni di barili di petrolio al giorno. Il petrolio yemenita viene comprato dalla Cina, e la Cina è sempre più presente nello scramble for Africa ed ha una base militare a Gibuti.
Quali le prospettive future? Mentre sulla sponda opposta del Mar Rosso è finalmente “scoppiata” la pace tra Eritrea ed Etiopia, lo scenario yemenita resta ricco di incognite. Dopo due anni di assenza di colloqui, a Stoccolma si è aperto un primo tavolo per avviare lo scambio dei prigionieri di guerra. Washington e Riad restano ossessionate dal comune nemico iraniano e non intendono cambiare la loro linea; Trump potrebbe essere indotto a più miti propositi dal Congresso USA ma ci vorrà tempo.
L’UE continua a dialogare con Teheran, su questo e su altri dossier, gli iraniani (pur con qualche difficoltà) continuano a dialogare con gli Houti, e gli Omaniti, fedeli alla loro arte diplomatica informale e quali rappresentanti di un paese-ponte tra Occidente e Mondo islamico, cercano di portare avanti una mediazione.
Resta intatta l’origine del conflitto, il problema della ripartizione delle risorse e del potere in un paese poverissimo, profondamente diviso e gestito da rivalità tribali e claniche, e in cui si sono abilmente infiltrati attori globali elevando il livello dello scontro. E la popolazione civile yemenita continua a morire in una guerra (assurda) che appare senza fine.
Alessandro Pellegatta