Se oggi viviamo nell’epoca della cosiddetta modernità liquida, lo dobbiamo al pensatore, sociologo, professore emerito polacco Zygmunt Bauman. Nato nel 1925 a Poznan, in Polonia, i genitori erano ebrei non praticanti. Dopo l’invasione tedesca del suo Paese, tutta la famiglia fugge in Unione Sovietica, dove si tratterrà sino alla conclusione del conflitto. Addirittura, si arruolerà in un corpo d’armata, prendendo parte alla Battaglia di Berlino. Si dice che sia questo il periodo dove il sociologo maturò una sincera adesione al comunismo. Ritornò in patria, nello specifico a Varsavia, per studiare quella che diverrà la sua passione: la sociologia. Nel 1954 diviene ricercatore, rimanendo nella capitale polacca fino al 1968. Dopo un soggiorno alla London School of Economics, pubblica le sue prime opere importanti, aderendo completamente all’ortodossia marxista. Avvicinandosi al pensiero di Simmel e Gramsci, diviene sempre più critico nei confronti del Governo polacco, il quale applicò una stretta antisemita sulla classe intellettuale.
Emigrò quindi prima in Israele, lasciando l’Università di Varsavia, e poi in Inghilterra, accettando la cattedra di sociologia a Leeds, dove poi deciderà di trascorrere il resto della sua vita sino alla morte, avvenuta il 9 gennaio. alla veneranda età di 91 anni.
Sarà proprio la lingua inglese ad ampliare la risonanza del suo pensiero. Pubblicando nella cosiddetta “lingua mondiale”, Bauman otterrà notorietà ed influenza. Studierà quindi: il rapporto tra la cultura moderna della ragione e il totalitarismo, quello tra ideologia, memoria e Shoah. Poi si dedica alla globalizzazione, alla dittatura consumistica, ed infine, agli stranieri, qui, alle nostre porte.
E’ lui che ha coniato il concetto di modernità liquida. Una definizione che cela un concetto aberrante: tutto si può sciogliere, è “friabile”, inserito nel sistema “produci – consuma (freneticamente) – crepa”. E ciò comprende ogni singolo aspetto del vivere: dal mercato del lavoro (contratti eternamente temporanei, dove il precario è una condizione esistenziale) ai sentimenti, dall’elettrodomestico alle emozioni, poiché, nel mercato globale, il consumatore ha “il diritto” di cambiare, ogni qual volta lo desideri.
In base a questa realtà, l’uomo ha il compito, il dovere di scegliere: o la liquidità, la voglia di consumo frenetico, il cedere alla pubblicità, alle mode, alle lusinghe del mercato, oppure l’opposto: la solidità. Quest’ultima presupporrebbe: legami solidi, amore duraturo, amicizia sincera, lavoro non solo come ricchezza per il capitalista, ma per tutto il territorio.
Bauman ha sempre combattuto il “sistema moderno”, con le armi della ragione, della mitezza, in una sua, personale religione della libertà. Fu lui a capire l’ambivalenza della modernità, essendo uno dei padri “nobili” della sociologia. Quest’ultima forte, pulita, concreta, quasi avesse un forte senso di responsabilità nei confronti non solo dei suoi studenti, ma anche del genere umano. Portava dentro di sé tutto il novecento: ebreo, polacco, sempre esule, ha visto la Shoah, il comunismo, la società moderna. Uomo coinvolto anche nel dialogo interreligioso, Bauman ha incontrato anche Papa Francesco.
La sua scomparsa lascia un grande vuoto, soprattutto dal punto di vista degli studi. Uno dei suoi più grandi impegni, è stato anche il concetto di cultura in tempi di comunicazione di massa. Questa è un’eredità che va raccolta. Bisogna impegnarsi, soprattutto di fronte al male che dilaga. Concetto molto gramsciano, e ovviamente, etico. E l’informazione, la cultura hanno pur sempre un ruolo chiave. A noi, l’eredità, e soprattutto, l’accortezza di saper usare i mezzi d’informazione nella giusta direzione.
Valentino Quintana