Dal 20 al 28 gennaio si è svolto ad Hanoi il XII Congresso del Partito Comunista Vietnamita, il partito guida della Repubblica Socialista del Vietnam. Per un paese che, nel 2015, ha avuto una crescita del PIL del 6,7% e, in 10 anni, ha triplicato il PIL pro capite da 2.100$, la battaglia all’interno avrà sicuramente ripercussioni cruciali sul futuro di una nazione che si basa ancora su un sistema politico di matrice socialista. Con la presenza di oltre 1.500 delegati per eleggere il nuovo Comitato Centrale e il Segretario, il Congresso del Partito è la fase storicamente più importante per le dinamiche del paese, dato che, come statuito dall’articolo 4 della Costituzione, Hanoi considera il Partito Comunista «l’avanguardia della classe lavoratrice e, contemporaneamente, l’avanguardia di tutti i lavoratori e della nazione vietnamita, fedele rappresentante degli interessi della classe lavoratrice, dei lavoratori e dell’intera nazione, che agisce seguendo la dottrina marxista-leninista e il Pensiero di Ho Chi Minh».

Lo scontro decisivo era al vertice, in particolare tra quelle che sono state definite frettolosamente come “due linee” più o meno divergenti: quella di Nguyen Tan Dung, 68 anni, attualmente Primo Ministro, considerato “più favorevole” a maggiori riforme di mercato, e l’altra facente capo a Nguyen Phu Trong, 71enne, Segretario del Partito dal gennaio 2011, rappresentante l’ala più “conservatrice” (si è laureato in Unione Sovietica) e filo-cinese del Partito. Questo XII Congresso ha sancito la rielezione di Trong, da molti analisti vista come una vittoria filo-cinese sia sul Partito che sullo Stato. Per Dung (su molti aspetti non in linea con Pechino, e firmatario del TPP con gli USA) può considerarsi conclusa l’esperienza in politica: non è stato eletto in né nel Politburo né nel Comitato Centrale, e la sua destituzione sembra ormai imminente.
La vittoria di Trong sembra decisiva e stabile, almeno fino al 2021, data del prossimo Congresso del PCV; nel frattempo Partito e Stato hanno stanno assistendo ad un rapido rimpasto dei ruoli: il traballante Dung potrebbe cedere il ruolo di Primo Ministro in favore Nguyen Xuan Phuc, mentre alla Presidenza dovrebbe accedere Tran Dai Quang, uomini vicini alla nuova Segreteria. Nonostante ciò, si dubita di un mutamento di strategia molto accentuato da parte di Hanoi: la linea dell’ultimo decennio (collaborazione con USA e Cina, senza rinunciare alle rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale e una crescita economica che gode di un costante ampliamento del mercato) non dovrebbero mutare eccessivamente.

Nel XII Congresso sono state anche presentate nuove idee per lo sviluppo, vari piani e progetti che il Partito potrebbe sviluppare durante i prossimi cinque anni. I delegati hanno proposto una serie di iniziative economiche che hanno, come programmazione strategica, «rendere il Vietnam un paese industrializzato orientato verso la modernità» passando per «la continua riforma del modello di crescita, la ristrutturazione dell’economia, l’intensificazione dell’industrializzazione e della modernizzazione, in linea con lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza, il perfezionamento delle istituzioni e lo sviluppo di un’economia di mercato orientata verso il socialismo». Seguendo il motto del Congresso, “Solidarietà, Democrazia, Disciplina, Rinnovamento”, la nuova leadership del paese non ha alcuna intenzione di abbandonare la politica del “doi moi” (la versione vietnamita del “socialismo di mercato”), anche sotto la linea più “conservatrice” e filo-cinese di Nguyen Phu Trong.

Di Leonardo Olivetti