Di fronte agli innegabili risultati di otto giorni di campagna anti-ISIS scatenata da forze irachene ed alleati più o meno affidabili in Provincia di Ninive (800 terroristi uccisi, 74 villaggi e cittadine liberate, fronte a pochi Km da Mosul), il bravo Gian Micalessin sulle pagine del “Giornale” lancia il dubbio che Obama e i suoi generali abbiano in mente di lasciare un “corridoio” in direzione Ovest aperto ai combattenti del “Califfato”.

Ciò permetterebbe una loro la fuga con poche perdite alla volta della Siria, dove si unirebbero ai camerati che occupano la Provincia di Raqqa e quella di Deir Ezzour per dare battaglia alle truppe di Damasco.

L’ipotesi non è affatto peregrina e si inserisce perfettamente nella strategia Usa, a più riprese coinvolti nella creazione di gruppi insorgenti, spesso di matrice fondamentalista, da “lasciarsi dietro” durante il promesso ritiro dall’Iraq (2008-2011). Questa permanente instabilità consentirebbe il ritorno massiccio in terra mesopotamica di forze da combattimento americane.

Tuttavia questo piano ha avuto solo in piccola parte successo. L’Iran del Generale Qassem Soleimani, è riuscito a portare dalla sua parte imponenti forze di mobilitazione popolare (Hashd al-Shaabi), che non solo hanno bloccato la marcia dell’ISIS verso Baghdad e Najaf (autunno-inverno 2014), ma hanno svolto la parte del leone nella liberazione di Tikrit, di Fallujah, di Ramadi. Un esercito popolare che sembra avere una preparazione nettamente migliore sia dell’Esercito Regolare sia delle unità antiterrorismo irachene (le quali, ricordiamolo, erano state “addestrate” dagli istruttori americani).

Quindi di fronte alla riconquista anche di Ninive e Mosul (anche qui con un ruolo di primo piano dello Hashd al-Shaabi) si può ritenere che anche a Washington abbiano ormai accettato l’idea che un Iraq frantumato e diviso per linee etnico-confessionali non rappresenta un obiettivo credibile e che un governo centrale da Baghdad (che sarà per forza di cose egemonizzato dalla componente maggioritaria sciita della popolazione) continuerà ad esistere.

Anche l’annuncio dato oggi dai comandanti curdi che le forze di cosiddetti “peshmerga” non avanzeranno ulteriormente verso Ovest è da spiegare con ben precisi “ultimatum” arrivati alla dirigenza curda che né le forze regolari di Baghdad né tantomeno le milizie popolari (che ormai comprendono anche molti cristiani assiri e membri di altre minoranze) tollereranno occupazioni o “annessioni” di terreno o villaggi all’area sotto dominio curdo.

Tuttavia l’idea di riciclare in funzione anti-siriana i veterani di Mosul non è poi così facile da realizzarsi, visto che, oltre ai miliziani popolari iracheni, ferocemente determinati a non farsi sfuggire nemmeno un combattente del cosiddetto “Stato Islamico” anche le forze aeree irachene, forti dei Sukhoi-25 forniti da Russia e Iran, sono ben determinate a passare al pettine la frontiera occidentale evitando fughe e ritirate di quanti hanno tiranneggiato e oppresso per oltre due anni una delle più importanti, popolose, cosmopolite metropoli irachene.

Il centro di comando coordinato che a Baghdad collega ufficiali iracheni, iraniani e russi, inoltre, ha da lungo tempo messo sul chi va là Damasco e i comandi russi in Siria, riguardo il pericolo di un “esodo” di terroristi verso Raqqa e Deir Ezzour. Mentre la recente costruzione di una nuova pista all’aeroporto militare T-4 indica che il corpo di spedizione aereo in Siria è pronto a spostare parte dei suoi mezzi verso il centro e l’Est del paese.

Paolo Marcenaro