L’accordo dei 5+1 sul nucleare iraniano rappresenta certamente una svolta epocale nelle relazioni Iran-Occidente: dopo aver scongiurato il pericolo di un conflitto armato con gli Stati Uniti (almeno stando alle dichiarazioni di Obama e Cameron), il governo di Teheran punterà ora a porre fine alle sanzioni, il fulcro della trattativa. La loro rimozione, come vedremo, è la chiave di volta non solo dell’accordo, ma anche delle future mosse strategiche del paese persiano.
Quando il Ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, nell’incontro con l’Alto Rappresentante della Politica Estera dell’UE, Federica Mogherini, ha dichiarato: «L’Iran riafferma che in nessuna circostanza cercherà mai, svilupperà o acquisirà armi nucleari», il governo degli Ayatollah ha così teso le mani all’accettazione delle clausole: qualsiasi programma nucleare sarà congelato per i prossimi 10 anni, le centrifughe nucleari saranno ridotte da 19.000 a 6.000, l’arricchimento di uranio si limiterà al 3,67% ed a soli 300 kg. Misure certamente imponenti, che, quanto concretamente applicate, impedirebbero totalmente uno sviluppo autoctono di un ordigno nucleare.
Ma la vera chiave di volta per il funzionamento dell’accordo, come ribadito dal Presidente iraniano Rohani, è la rimozione delle sanzioni. D’altronde, per Teheran, ridurre così drasticamente il proprio potenziale nucleare può essere barattato solamente con la rimozione delle pesanti restrizioni all’economia e al commercio del paese, che, negli anni precedenti, hanno causato danni abbastanza ingenti: svalutazione del Rial (la moneta iraniana), dimunzione del commercio del petrolio e diminuzione degli investimenti stranieri nel paese(1). In particolare, tra i punti sanzionatori stabiliti dal Congresso statunitense (simili a quelli adottati dall’UE) vi sono: restrizioni nei settori di petrolio e gas, restrizioni nella vendita di tecnologie, nella vendita di benzina e altri carburanti, blocco delle transazioni finanziarie, e congelamento di beni (anche a privati).
Si stima che, se le sanzioni all’Iran fossero rimosse, il paese degli Ayatollah rientrebbe in possesso di circa 100 miliardi di dollari: una cifra imponente, sia in riserve auree che in capitali. Con un introito di queste proporzioni, le capacità strategiche dell’Iran avrebbero un salto qualitativo imponente: non solo in Siria ed Iraq lo scenario di guerra potrebbe mutare a favore delle milizie della resistenza, ma anche nello Yemen l’equilibrio di forze raggiungerebbe un punto di non ritorno; tutto questo, nel contesto del confronto con l’Arabia Saudita. Proprio dai grandi afflussi economici che arriveranno dalla piena attuazione dell’accordo, il regime israeliano trae spunto per la sua propaganda interna atta a sfiduciare il trattato: «Nell’immediato l’accordo garantirà all’Iran centinaia di migliaia di dollari che saranno diretti verso la sua aggressività nella regione e al terrorismo che dissemina in tutto il mondo». Questo significa «altri fondi per i Guardiani della Rivoluzione, per le Forze Quds, per gli Hezbollah, per Hamas, per la Jihad islamica, per il terrorismo che l’Iran appoggia in Libia, per le milizie sciite in Iraq e gli Houthi in Yemen»(2), ha dichiarato Netanyahu a Renzi, facendo capire che il successo iraniano potrebbe essere una vittoria anche per i movimenti di resistenza nel Vicino Oriente.
Per l’Italia, la rimozione delle sanzioni sarebbe allo stesso modo un notevole successo economico: l’Italia è il quarto mercato delle esportazioni iraniane (secondo, in Europa, solo alla Germania), ed il terzo per le importazioni. Se, dal 2012, il commercio tra Roma e Teheran è andato in ribasso a causa delle sanzioni adottate dall’UE, con la rimozione delle sanzioni il nostro paese potrebbe diventare la punta di diamante nelle relazioni Europa-Iran.
Nonostante l’avvenuta firma, la vera garanzia dell’attuazione dell’accordo la si avrà solo nei prossimi mesi: Rohani, e con lui Zarif, ha ribadito chiaramente che, se non verranno rimosse le sanzioni, Teheran non rispetterà i patti. Starà ora a Washington, e alle forze che premono al suo interno, poter effettivamente decidere di sigillare il trattato, oppure mandarlo all’aria, seguendo la politica sionista (ed anti-iraniana) di buona parte del Congresso.
Leonardo Olivetti