shimon peres

A quindici giorni dal primo, massiccio infarto che lo ha colpito all’età di novantatre anni è deceduto allo Sheba Medical Center di Ramat Gan (Tel Aviv), l’ex presidente israeliano Shimon Peres.

Con un curriculum politico che lo ha visto via via ricoprire le cariche di Ministro dei Trasporti, Ministro della Difesa – per due volte -, Ministro delle Finanze, Ministro degli Esteri – per ben tre volte -, Primo Ministro – ancora per tre volte -, Presidente di Israele e un precedente stato di servizio militare che lo ha visto passare da militante dell’Haganah ad architetto dell’aggressione internazionale contro l’Egitto di Nasser (1956) fino a fondatore del programma nucleare segreto di Dimona, è chiaro che ci troviamo di fronte a una delle figure di spicco dello Stato ebraico e che, una lettura attenta della sua biografia può permettere di capire molto delle dinamiche e delle vicende che hanno riguardato quest’entità e l’intero teatro mediorientale.

Come molti dei fondatori di Israele Peres nacque nel 1923 in una condizione di agiatezza e privilegio: la sua famiglia, residente nell’attuale Bielorussia (allora però territorio polacco) apparteneva all’alta borghesia ebraica e si era arricchita col commercio di legnami; ancora prima di terminare le scuole primarie il giovane Szymon Perski (questo il suo vero nome) parlava quattro lingue: Ebraico, Yiddish, Russo e Polacco, a cui presto aggiunse gli “indispensabili” Francese e Inglese.

Nella sua gioventù Peres flirtò con l’integralismo ebraico, arrivando persino a sfasciare violentemente la radio di casa (in quegli anni un accessorio costosissimo) quando “sorprese” i suoi genitori ad ascoltarla nel giorno di Sabato, ma entro la metà degli anni ’30, quando la famiglia decise di trasferirsi nella Palestina sottoposta a mandato britannico, aveva già abbandonato ogni velleità ortodossa.

L’immigrazione della sua famiglia in Palestina, dove rapidamente egli divenne “Shimon Peres” è interessante e istruttiva, specie di fronte alla vulgata che vorrebbe l’influsso di immigrati ebrei in Medio Oriente come unicamente conseguente agli eventi del Nazismo e delle sue persecuzioni in Europa: i ricchi e agiati cittadini polacchi Perski si trasferirono nei pressi di Tel Aviv ben prima di aver potuto subire la benché minima angheria, unicamente in omaggio all’ideologia colonizzatrice di Theodor Herzl, che aveva decretato la Palestina “terra nullius” pronta a venire “arricchita e redenta” dalla presenza ebraica, in barba a ciò che potevano pensare o volere i suoi abitanti legittimi.

Dopo un periodo di lavoro in vari Kibbutz, Peres intraprese un rapidissimo Cursus Honorum politico-militare sotto l’ala protettrice di David Ben Gurion, allora leader del Partito dei Lavoratori (Mapai) ma trovò anche il tempo di condurre insieme a un giovane Moshe Dayan una spedizione illegale nel Negev (1944), dove i giovani sionisti fecero misurazioni e rilevamenti per una sua futura invasione.

Sposatosi nel 1945, si inserì nei ranghi della milizia mapaista dell’Haganah, prendendo parte ai combattimenti che seguirono l’unilaterale dichiarazione dello Stato di Israele e che videro, oltre alla guerra contro le truppe egiziane, giordane e contro i contingenti inviati da altri stati vicini, anche un certo grado di lotta intestina tra le stesse organizzazioni armate ebraiche, che in qualche caso esplose in combattimenti veri e propri. Peres concluse il suo servizio nell’Haganah col rango di responsabile per tutte le attività navali (che comprendevano il contrabbando e il traffico di armi, condotto in diretta cooperazione con organizzazioni malavitose ebraiche e non). Finita la “Guerra di Indipendenza” (come definita dallo stato israeliano), Peres si spostò negli USA dove studiò per vari anni ad Harvard e alla NY University.

Al suo ritorno in Palestina nel 1952 venne nominato Vicedirettore Generale del Ministero della Difesa, ad appena 29 anni. Individuata nella debole Francia della Quarta Repubblica un partner ideale per il giovane e spregiudicato Stato Ebraico, Peres allacciò strettissimi rapporti col suo complesso militare in breve dotando le forze armate sioniste del meglio che Parigi potesse fornire: jet Ouragan, Vautour, Mystére, Super Mystére e infine Mirage, carri armati AMX-13 e moltissimi altri tipi di armi e artiglierie. Il capolavoro del giovane Vicedirettore Generale fu però l’acquisizione (sempre dalla Francia, e col benestare britannico) delle tecnologie necessarie alla creazione della centrale nucleare di Dimona, da cui sarebbero nate le bombe atomiche (illegali e non dichiarate) di Tel Aviv, rimaste nell’ombra fino alla coraggiosa dichiarazione rilasciata da Mordechai Vanunu negli anni ’80.

Francia e Inghilterra del resto si mostrarono amichevoli nei confronti di Israele per la sua disponibilità a unirsi alle vecchie potenze coloniali ottocentesche nella loro anacronistica revanche del 1956 contro l’Egitto di Nasser, che aveva nazionalizzato il Canale di Suez. Le truppe sioniste attaccando di sorpresa dilagarono nel Sinai e spianarono la strada ai contingenti franco-inglesi per sbarcare nei pressi del Canale; per fortuna, in uno dei pochi casi di azione congiunta sovietico-americana degli anni ’50 Eisenhower e Kruschev ricordarono a Parigi e Londra che il tempo delle scorribande esotiche era finito con la Prima Guerra Mondiale. Israele (grazie anche a Peres) imparò la lezione e spostò le sue attenzioni dalle vecchie ex-potenze europee agli Usa, diventando il principale importatore della loro tecnologia militare (i mezzi franco-inglesi vennero presto sostituiti da quelli a stelle e strisce) e basandosi sulla fortissima e compatta comunità ebraica americana per migliorare e volgere a proprio vantaggio il proprio rapporto con Washington.

Nel 1959 Peres entrò per la prima volta nel Parlamento ebraico, sempre nelle file del Mapai, e divenne Viceministro della Difesa fino al ’65; in seguito col mentore Ben Gurion e con Moshe Dayan fondò il nuovo partito Rafi che poi fagocitò il vecchio Mapai in una coalizione denominata Hamarakh che riuscì a conquistare una maggioranza assoluta nel 1969 con 63 seggi su 120. Gli anni ’70 passarono per Peres con una serie di crescenti incarichi governativi, mentre le vecchie guerre mediorentali tra stati sovrani si concludevano col confronto del 1973 e venivano sostituite dalla sordida campagna di spionaggio condotta contro le organizzazioni di guerriglia palestinese: nel ’77 però egli masticò amaro quando, per la prima volta a capo della coalizione Hamarakh, perse le elezioni legislative contro il vecchio “guru” della Destra sionista, l’ex-terrorista irgunik Menachem Begin.

Né meglio andarono le elezioni del 1981 (di nuovo perse) o quelle del 1984, dove a fronte di una maggioranza relativa Peres e alleati non riuscirono a formare un Governo stabile e dovettero accontentarsi di una coabitazione coi rivali del Likud, guidati da Shamir, successore di Begin, durante la quale esplose nei Territori Palestinesi la Prima Intifada. Dopo un fallito tentativo di escludere i Likudniks dal Governo con una improbabile coalizione tra laburisti, ultrasinistra e partiti religiosi (il cosiddetto “Sporco Trucco” dell’aprile 1990), Peres si trovò a guidare l’opposizione laburista in Parlamento durante i primissimi anni ’90, finché non dovette cedere a Yitzakh Rabin la guida del partito. Rabin ricompensò il rivale interno con l’importante poltrona di Ministro degli Esteri e in questa veste Peres, coinvolto in guerre e piani bellici contro tutti gli stati vicini fin dal 1948 si trovò sorprendentemente insignito del Premio Nobel per la Pace a seguito degli Accordi di Madrid e poi di Oslo per la cosiddetta “Soluzione a Due Stati”. L’eliminazione violenta di Rabin da parte di un fanatico di Destra lo riportò subito dopo alla guida del Partito Laburista.

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Peres stringe la mano ad Arafat a Oslo nel ’93.

Nonostante gli impegni presi nelle capitali europee, tuttavia, per tutti i trenta anni successivi il ritmo di costruzione di insediamenti illegali su terra nominalmente riservata al fantomatico “Stato Palestinese” non si interromperà affatto. Premier nel 1996 Peres diede l’OK all’invasione del Libano appena uscito dai travagli della Guerra Civile nel tentativo di “sradicare Hezbollah”, ma ebbe la sorpresa di vedere i vantati commando di Israele contenuti e respinti dai combattenti sciiti di Hassan Nasrallah (da poco diventato leader di Hezbollah proprio a seguito dell’assassinio effettuato da Israele del suo predecessore Al-Mousawi).

Sconfitto nelle successive elezioni dal nuovo golden boy del Likud, Benjamin Netanyahu, Peres dovette cedere la leadership laburista al più giovane Ehud Barak che al contrario di Rabin non lo onorò con un prestigioso dicastero ma lo relegò con malagrazia al piccolo Ministero per la Cooperazione Regionale durante il suo premierato. In seguito alla sconfitta di Barak nelle elezioni del 2001, però, Peres riprese le redini laburiste e divenne nuovamente Ministro degli Esteri in un nuovo Governo di Grande Coalizione con il Likud guidato da Ariel Sharon. Insieme a Sharon, Peres decise di rompere il duopolio Laburisti-Likud sulla politica sionista arrivando a fondare il Partito Kadima. Il seguente coma di Sharon fece pensare che il vecchio e navigato politico potesse succedergli come leader della nuova formazione, ma lui passò la mano al più giovane Ehud Olmert.

Resistendo alle lusinghe dei laburisti che lo volevano di nuovo tra loro Peres venne ricompensato da Olmert col vicepremierato nel suo Governo (2006-2009). L’ultima carica da lui svolta, ormai anziano, fu quella di Presidente di Israele, dove fece del suo meglio per far dimenticare la disastrosa presidenza di Moshe Katsav, accusato di stupro e condannato a sette anni di carcere.

La carriera di Peres dimostra come nella politica dello Stato Ebraico le etichette partitiche contino solamente per le questioni interne, visto che, per quanto riguarda i rapporti con l’estero Israele persegue senza alcuna variazione una costante politica di espansione e dei vicini, che rendono irrisolta la questione israelo-palestinese.

Paolo Marcenaro