Non sono mancate le polemiche dopo la decisione del questore di Rimini, Maurizio Improta, di chiudere la nota discoteca “Cocoricò” di Riccione per quattro mesi a partire da lunedì 3 agosto. Il provvedimento è stato notificato domenica, due settimane dopo la morte del sedicenne Lamberto Lucaccioni, originario di Città di Castello, avvenuta alle prime ore del mattino di domenica 19 luglio per un’overdose di ecstasy: il giovane si era sentito male dopo l’assunzione della sostanza, trasportato d’urgenza in ospedale era deceduto poco dopo il suo arrivo.

Sabato 25 l’amministratore delegato del Cocoricò Fabrizio De Meis aveva indetto una conferenza stampa nella quale aveva annunciato le proprie dimissioni, nell’occasione aveva rivendicato una lunga serie di iniziative adottate negli ultimi anni, in discontinuità con le gestioni precedenti, contro l’uso e lo spaccio di droga all’interno del locale: utilizzo di telecamere, campagne contro l’uso di stupefacenti, organizzazione di una grande festa nella sede della Comunità di San Patrignano lo scorso 26 giugno, in occasione della giornata mondiale contro la droga, collaborazione con le forze dell’ordine, con tanto di segnalazione di clienti in possesso di sostanze stupefacenti, ricevendo per questo anche minacce e per di più, essendo i controlli da parte della sicurezza della discoteca contro la legge, anche diverse denunce, riguardo le quali ha però affermato “meglio subire un’azione legale che non controllare”. Aveva ricordato inoltre di aver proposto un ‘Daspo’ per le discoteche (“stasera potrei trovare all’ingresso il pusher che è solo stato denunciato e non potrei impedirgli di entrare”) e richiesto una legge che consenta di sottoporre i clienti a un tampone per capire se abbiano assunto droga, come accade a Ibiza.

De Meis aveva affermato di lasciare il suo ruolo (restando comunque un azionista del gruppo) perché si sentiva impotente di fronte a un problema enorme, di dimensione mondiale come quello della droga, lasciato solo a combattere una guerra senza la possibilità di vincere poiché, aveva detto: “non ho strumenti, non ho il supporto della legge”. Aveva infine terminato il suo sfogo con queste dure affermazioni: “mi rendo conto che esiste un muro invalicabile, dove da una parte c’è la politica, le istituzioni, le forze dell’ordine, che agiscono singolarmente e dall’altra c’è l’imprenditore, come fossimo l’uno nemico dell’altro”.

Il comandante provinciale dei carabinieri di Rimini, colonnello Mario Conio, nei giorni successivi alla morte di Lucaccioni aveva invece rilasciato la seguente dichiarazione: “Sul locale faremo le opportune valutazioni nei prossimi giorni, perché il ragazzo si è sentito male in discoteca. Non ci saranno sconti per nessuno. Purtroppo non è un locale nuovo a determinate cose”. Poi è arrivata la chiusura, la quinta in quattro anni per il “Cocoricò”, quattro mesi a partire da agosto, periodo di altissima stagione, che potrebbero risultare un colpo insostenibile e portare al fallimento un gruppo imprenditoriale che dà lavoro a 200 dipendenti. Se prendessimo per buone le parole di De Meis dovremmo concludere trattarsi di un provvedimento ingiusto, contro il quale è stato difatti già annunciato il ricorso e in rete impazza le protesta, con 50.000 messaggi sui vari social solo in un paio di giorni. Se invece dovessimo fidarci delle parole di Conio, finiremmo col chiederci perché mai il locale non fosse stato chiuso già prima: in Italia bisogna sempre aspettare il morto, prima di agire?

In rete c’è anche chi scrive “finalmente” o “quattro mesi sono pochi”. Resta la tragedia con la sua componente di casualità: è stata la sorte a decidere che toccasse soltanto a Lamberto pagare il prezzo più alto, mentre la stessa cosa poteva capitare ai due amici che erano con lui o a uno qualsiasi di tutti gli altri ragazzi che quella sera, nella stessa discoteca oppure altrove, hanno usato l’ecstasy o altre sostanze altrettanto rischiose. Quando i due amici superstiti sono stati sentiti dai carabinieri, all’alba di domenica, erano ancora sotto l’effetto della sostanza e i loro racconti erano un po’ nebulosi, poi nelle ore successive l’effetto dello stupefacente è andato scemando e così hanno potuto così dare indicazioni preziose per identificare chi aveva procurato loro la pasticca fatale: si tratta di un diciannovenne, anch’egli di Città di Castello, senza precedenti per spaccio, appena diplomato.

I testimoni hanno rivelato ai Carabinieri di aver ricevuto da lui la sostanza prima di partire, ma di averla poi pagata a Riccione prima di andare in discoteca. Costo: 250 euro. Raggiunto dai carabinieri la domenica sera, il giovane che ha fornito loro la droga avrebbe ammesso, in lacrime, le sue responsabilità, dimostrandosi collaborativo, oltre che disperato per l’accaduto. Anche a lui il caso ha giocato un brutto scherzo, perché non lo si può considerare più colpevole del pusher che i carabinieri hanno arrestato vicino alla discoteca poche ore prima della tragedia. Ma chi decide di spacciare sa cosa rischia: per questo si tratta d’un reato così odioso. Il 3 agosto De Meis, in un’altra conferenza stampa, ha detto che la chiusura non servirà a combattere la droga, ma causerà una perdita economica stimata in 1,5-2 milioni di euro, con forte rischio di fallimento. Non gli si può dar torto: chiudere una discoteca non sarà certo sufficiente per sconfiggere il traffico di sostanze stupefacenti, né lo sarà chiudere tutte quelle che non rispettano la legge, come ha annunciato il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, perché la droga si vende anche e soprattutto per strada.

Eppure nelle sue parole c’è una nota stonata: in un’occasione così tragica infastidisce sentirlo snocciolare i risultati del suo gruppo. Il successo del “Cocoricò” è fuori discussione, tanto che nel marzo di quest’anno, il mensile britannico DjMag, che viene considerato il giornale più autorevole al mondo per ciò che riguarda la dance, l’ha posto al sedicesimo posto nella classifica delle migliori discoteche del mondo. Si tratta perciò anche di una macchina da soldi, coi suoi 6.000 posti che vengono riempiti quasi ad ogni apertura da giovani che per entrare pagano 35 euro a testa, talvolta con un sovrapprezzo di 5 euro di prevendita, e le consumazioni vanno da un minimo di 10 euro in su. Se davvero c’è stato sforzo per togliere alla discoteca riccionese la sua reputazione di luogo della trasgressione per eccellenza, non è risultato sufficiente, si tratta del resto di un’impresa molto improba, dopo che per più di vent’anni il “Cocoricò” è stato associato allo sballo. E’ d’altra parte innegabile che tale “etichettamento” sia una delle componenti del successo del locale.

Ma è stato fatto tutto il possibile? Una modesta proposta: volendo dare un taglio netto col passato, si potrebbe pensare di cambiare nome. Comprendiamo però che ciò avrebbe significato rinunciare a un ‘brand’ molto importante e redditizio, una mossa imprenditoriale perdente, la logica del profitto consiglia perciò di mantenerlo, ma così facendo si continua anche ad evocare l’idea dello sballo. E’ una questione di scelte.