
In Italia negli ultimi tempi sono nati tanti micropartiti, molto spesso correnti fuoriuscite da uno grosso: alcuni hanno avuto anche un certo successo, ma il partito che silentemente si fa strada in Italia – e non solo – è quello cosiddetto degli astensionisti, cioè quella parte degli elettori che non si presenta nemmeno al seggio. Pretendere di classificarli univocamente come se rinunciassero tutti per la stessa ragione sarebbe banale e scorretto, però fondamentalmente potremmo trovare due grandi “correnti”: da un lato, quelli a cui non interessa, perché ognuno ha i propri interessi e non possiamo pretendere che chiunque abbia quel minimo per andare a votare, per quanto assurdo possa sembrare; dall’altro, quelli che potremmo definire indignati, elettori che rigettano talmente le proposte politiche che, a differenza di altri, non vanno nemmeno ad annullare (e ricordiamoci che gli insulti fantasiosi gli leggono poi solo gli scrutinatori) o lasciare bianca la scheda.
Il partito degli astensionisti ha vinto ancora! Questa volta però gli effetti si son fatti sentire con più peso del solito perché si trattava di un referendum abrogativo, che propone cioè l’abolizione totale o parziale di una legge. La regola è quella del doppio quorum: a differenza delle normali elezioni in cui il dato dell’affluenza è un mero indice indicativo, qui è necessario che a partecipare sia la maggioranza più uno degli elettori e solo da qui ha validità l’esito. Regola apparentemente senza senso, che si spiega con la necessità di non far abolire leggi emanate da maggioranze parlamentari da una minoranza di cittadini.
L’Italia non ha una tradizione molto fortunata in tema di referendum, in effetti quando si tratta di quesiti piuttosto complessi è necessario, per ben valutare la risposta, uno studio accurato dell’oggetto. La specialità degli italiani è però il populismo, così basta propinare l’argomento, stravolgendolo per farlo sembrare qualcosa di diverso e di basilare e un certo numero di elettori si recheranno alle urne convinti. Nel 2011 abbiamo così cancellato la normativa per la gestione delle risorse idriche, spacciandola come un referendum per “l’acqua pubblica”, tutti ovviamente d’accordo visto che non può che essere pubblica (= lo sarebbe comunque rimasta), ma il fine dichiarato era quello di abbattere Berlusconi: una legge sacrificata per nulla.
Questa volta invece abbiamo assistito al tentativo, da parte di alcune regioni governate perlopiù dal centrosinistra, di scalzare il Presidente del Consiglio; insomma abbiamo assistito a una sorta di lotta interna, un teatrino che, con lo scopo di abbatterlo, visto che non gode ancora di una legittimazione diretta, pretendeva di farci decidere come gestire 21 impianti di estrazione. Sicuramente un discorso molto complesso che avrebbe meritato una scelta ponderata tra esperti di vari settori: ingegneri, economisti, giuristi come minimo, e non a tutti gli elettori, dei quali la maggior parte si è dovuta andare a informare sul funzionamento, visto che prima non era certo oggetto di discussione pubblica. Un conto è andare a votare il partito che propone più sforzi per l’ambiente e le energie rinnovabili, un conto è decidere se modificare una legge specifica sulle concessioni di impianti. Un conto è la partecipazione al voto per il bene pubblico, un conto è l’uso strumentale di istituti di democrazia diretta ad personam.
Il problema è che come detto il referendum richiede un quorum di validità, perciò, per quanto brutto possa sembrare che due istituzioni come il Presidente del Consiglio e l’ex Presidente della Repubblica invitino a non votare, che è comunque un diritto, non è nemmeno colpa loro se il referendum funziona così e se la loro posizione è quella del NO. La partecipazione in questo caso è “un bel momento democratico”, ma anche il gioco dell’opposizione a cui torna sicuramente utile: perché dovrei andare a votare per una scelta quando per la mia idea basta che il referendum non ottenga il numero minimo funzionale? Inoltre, perché devo partecipare a quello che nella sostanza è un giochetto tra il Presidente di un partito e le sue minoranze? Perché devo andare a votare per una domanda della quale non ho capito niente? Queste e chi sa quali altre domande sono passate per la testa degli italiani.
Siamo una Nazione mediaticamente devastata da programmi che rappresentano la degenerazione dei costumi, certi programmi come Amici, L’isola dei famosi, Il Grande Fratello, ecc. li conosciamo anche se non li abbiamo mai visti. Accusare però il popolo astensionista di menefreghismo o di interessarsi solo a certe frivolezze è alquanto ingeneroso, sia perché sarebbe divertente andare a chiedere a quanti hanno votato se sono soliti guardare certi programmi, sia perché il voto è stato talmente trasversale da non essere catalogabile in dicotomie come destra/sinistra o Renzi/antirenzi. Poiché il Presidente del Consiglio non ha il 70% dei consensi, evidentemente è rimasta a casa anche quella parte degli elettori che non lo voterebbero mai: anzi, il risultato sarebbe stato più coerente, se l’attuale premier avesse invitato a votare SI. Le prossime tornate elettorali, sicuramente dal significato più politico, come le elezioni amministrative e il referendum sulle riforme costituzionali, che non prevedono quorum, ci diranno di più sugli andamenti di questo partito di successo.
Giulio Sibona