Silvio Berlusconi

C’è stato un tempo, e neanche troppo lontano, in cui l'”Unità” fu il primo organo d’informazione a dare fuoco alle polveri della protesta contro la legge bavaglio. Correva l’anno 2008 quando Marco Travaglio, sulle colonne del quotidiano fondato da Gramsci, invitava i colleghi alla disobbedienza civile annunciando di voler continuare a pubblicare le intercettazioni non penalmente rilevanti nonostante il divieto previsto dal nuovo ddl firmato da Angelino Alfano.1 Da quell’appello scaturì la rumorosa mobilitazione di editori, giornalisti, intellettuali ed attori che ha accompagnato tutto l’iter del ddl dall’approvazione in Consiglio dei Ministri fino all’arenamento in Senato nel 2010. Oggi, nell’anno di grazia 2015, si torna a parlare di legge bavaglio in riferimento alla norma contenuta nel ddl sulla riforma del processo penale che affida al governo una delega in bianco per intervenire in materia di intercettazioni. Da allora molte cose sono cambiate al punto da rendere necessario un breve sunto chiarificatore a quei lettori più disattenti che, magari sfogliando per sbaglio l'”Unità”, potrebbero stupirsi nel constatare una certa convergenza tra il contenuto di articoli come l’esplicativo “Ma dove lo vedono il bavaglio alla stampa?”2 e le parole pronunciate da Paolo Bonaiuti3 nel 2008, allora portavoce di Silvio Berlusconi. C’è una differenza che balza subito agli occhi dei più attenti e che potrebbe, a pensar male, essere decisiva nel comprendere quest’apparente giravolta del quotidiano oggi diretto da Erasmo D’angelis: se nel 2008 governava il centrodestra con Berlusconi, nel 2015 a Palazzo Chigi si trova il centrosinistra con Renzi. Il ddl Alfano si meritò il marchio di legge bavaglio per il divieto a pubblicare il contenuto, anche parziale, delle intercettazioni ricavate da indagini non arrivate ancora al termine dell’udienza preliminare con conseguente inasprimento delle pene ai giornalisti sia in sede penale che disciplinare. In tempi più recenti, la stessa sorte è toccata al testo contenuto nella riforma sul processo penale che rimanda al governo Renzi la possibilità di proibire la pubblicazione di intercettazioni di soggetti coinvolti indirettamente nelle indagini e che è stato approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso mercoledì. Nei giorni in cui venne varato il ddl Alfano, l'”Unità” sottolineava il fatto che quella norma arrivasse solamente pochi mesi dopo lo scandalo scoppiato dalla pubblicazione delle telefonate tra Berlusconi e l’allora presidente di RaiFiction Agostino Saccà4. Ancora nel 2011, il quotidiano avanzava il sospetto che l’accelerazione dell’iter parlamentare di quel ddl coincidesse con la pubblicazione su “Repubblica” delle conversazioni tra il Cavaliere e Walter Lavitola.5
Ma poiché, come già detto, molte cose sono cambiate, ecco che oggi la diffidenza lascia il posto alla fiducia più incondizionata nel giornale barricadiero d’un tempo. Inaugurato un nuovo corso editoriale, nella redazione in gran parte sopravvissuta ai cambiamenti non si trova nessuno disposto ad ipotizzare un collegamento tra la cosiddetta “legge bavaglio” d’era renziana arrivata alla Camera il 27 Luglio e il clamore suscitato solamente quindici giorni prima dalla pubblicazione delle intercettazioni tra il presidente del Consiglio/ segretario PD e il generale delle fiamme gialle Adinolfi sul “Fatto Quotidiano”. Intercettazioni che, se il testo fosse diventato già legge, sarebbero rimaste ignote all’opinione pubblica.
Tra tanti cambiamenti di posizione, merita una menzione onorevole Marco Travaglio che, stavolta sul giornale di cui è direttore, oggi come ieri continua ad esprimere la sua contrarietà a qualsiasi proposta di legge finalizzata a regolare in via più restrittiva la pubblicazione delle intercettazioni.
Al di là della discussione se ci sia stato o meno un abuso di questo strumento negli ultimi anni e senza voler intervenire nel dibattito sulla necessità di legiferare in questa materia al fine di tutelare la privacy delle persone non coinvolte direttamente nei fatti di indagine, il silenzio di organi d’informazione, un tempo in prima linea contro provvedimenti simili a quelli che oggi vengono quasi difesi, possono insinuare il dubbio di un insopportabile doppiopesismo che rischia di favorire la sfiducia degli italiani nella carta stampata.6 C’è poi da stupirsi se l’Italia continua ad arretrare ogni anno nella classifica sulla libertà d’informazione?7 Eppure, dal cosiddetto “editto bulgaro” sono passati ormai 13 anni.

Nico Spuntoni

1. M. Travaglio, E allora arrestateci tutti, in l’Unità, 15 Giugno 2008, p.8.
2. https://www.unita.tv/focus/ermini-ma-dove-lo-vedono-il-bavaglio-alla-stampa/
3. https://qn.quotidiano.net/2008/06/10/95942-napolitano_sulle_intercettazioni_servono_larghe_intese.shtml
4. N. Andiolo, La scure dei processi e la mossa del Cavaliere, in l’Unità, 3 Luglio 2008, p.4.
5. https://www.valigiablu.it/la-carta-stampata-e-la-crisi-di-fiducia/
6. https://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2205000/2202575.xml?key=Claudia+Fusani+%40Claudia.Fusani&first=91&orderby=0&funz=ph&f=fir&dbt=arc
7. https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/12/liberta-stampa-italia-73-posto-intimidazioni-criminalita-politica/1419312/