di Anaisis Hidalgo Rodríguez (Granma) – 10 agosto 2025

Sulle aspre montagne della Sierra Maestra, durante gli anni convulsi della lotta rivoluzionaria, non si stava preparando soltanto una vittoria politica e militare; si forgiava anche un impegno profondo e umano tra Fidel Castro e le famiglie contadine che abitavano quei luoghi. Crebbe un rapporto fondato sulla fiducia, sulla solidarietà e sul reciproco sostegno.

Fin dalla celebre arringa “La storia mi assolverà”, nel processo dopo l’assalto al Cuartel Moncada nel 1953, Fidel si identificò con la condizione dei contadini cubani, che descriveva come molto precaria e diseguale. Segnalava che circa l’85% di essi pagava affitti, viveva minacciato di sfratto e più di 200.000 famiglie non possedevano terra da coltivare.

Sottolineava che la maggior parte delle terre migliori era nelle mani di pochi latifondisti e di imprese straniere, soprattutto statunitensi, e che i contadini lavoravano la terra senza esserne proprietari, come mezzadri, precaristi o affittuari, subendo estorsioni costanti e vivendo in condizioni miserabili, con scarsi servizi sanitari, educativi e senza accesso ai servizi di base.

All’epoca prometteva che, con il trionfo della Rivoluzione, avrebbe restituito la terra a chi effettivamente la lavorava, mediante una riforma agraria, una promessa fatta in varie campagne elettorali ma disattesa dai governi succedutisi a causa dei cambiamenti strutturali che ciò implicava nel sistema.

I PRIMI A PORGERE LA MANO

«Crescencio, lei non ne sa nulla?». Il contadino alza la testa, trattiene la bestia e risponde: «Nulla di che?», «che è arrivata una spedizione per Las Colorá», «che dici?», «tutti lo dicono, che è arrivata una spedizione per Las Colorá; le guardie corrono per il terrapieno». Immediatamente Crescencio Pérez parte per la casa di suo fratello Eduviges. Correndo pochi metri vede avvicinarsi alcuni cavalieri; tra loro riconosce Guillermo García e Pedro Pérez, che arrivano al galoppo. Si salutano e istintivamente commentano quel che si dice della spedizione.

Osservando l’atteggiamento impegnato di quei giovani, si lascia andare: «Ragazzi, questa è una cosa molto seria. Io sono coinvolto nel Movimento 26 di Luglio e ho bisogno dell’aiuto di uomini come voi». Essi rispondono: «Comandi, siamo disposti a tutto».

Per sentieri stretti, parlando con gli abitanti conosciuti e schivando le truppe batistiane, Crescencio Pérez cerca di trovare il luogo in cui si trovano gli spedizionieri e avverte i suoi che cosa dovranno fare se i ribelli si presentassero nella loro zona.

Il 5 dicembre avviene il battesimo del fuoco degli spedizionieri ad Alegría de Pío. Ancora Crescencio Pérez e la rete di accoglienza non hanno stabilito contatto con Fidel e i suoi compagni.

I ribelli si disperdono e a gruppi iniziano lo spostamento per cercare di raggiungere la Sierra Maestra. La maggior parte riesce a uscire dal “diente de perro” e si avvicina ai quartieri dei latifondisti in El Plátano, Toro, Sevilla Arriba, Palmarito e in altri luoghi dove esistono gruppi di contadini organizzati per facilitare il soccorso.

Nella prima quindicina di gennaio si erano incorporati otto contadini come combattenti della guerriglia: Guillermo García, Manuel Fajardo, Crescencio Pérez e i suoi figli Ignacio e Sergio, Eduardo Castillo e i fratelli Manuel e Sergio Acuña.

«Poco a poco —sottolinea il Che—, quando i contadini videro l’indistruttibilità della guerriglia e quanto lungo appariva il processo di lotta reagirono in modo più logico, incorporandosi al nostro esercito (…). L’esercito di guerriglia si radicò fortemente nella terra, data la caratteristica dei contadini di avere parenti nella zona. Questo è ciò che chiamiamo vestire di yarey [1] la guerriglia».

Il contadino non offrì solo il suo umile bohío [2], il suo cibo e le sue risorse; le donne curavano i combattenti feriti e assunsero importanti azioni militari come parte dell’Esercito Ribelle. Di questo sostegno logistico è testimonianza una lettera di Crescencio Pérez, datata Sierra Maestra, 13 luglio 1958:

«Celia: Vi mando due carichi di fagioli neri. In El Lomón restano 14 quintali e qui ne restano cinque. Quelli che ti mando li ho comprati oggi; ricordati che qui ci sono cento libbre di formaggio, e il sale ci arriva oggi».

Il libro Itinerario di Fidel per la provincia di Granma, di Ludín Fonseca, raccoglie quasi un centinaio di incontri e visite del Comandante in Capo nelle case dei contadini dell’attuale provincia di Granma: Purial de Vicana, Cinco Palmas, La Plata, Los llanos del Infierno de Palma Mocha, Arroyones del Limón, El Jíbaro, tra gli altri.

Secondo lo storico Aldo Daniel Naranjo, con lo sbarco del Granma le masse contadine dei municipi, soprattutto di Niquero, Campechuela, Manzanillo, con i rispettivi barrios di Pilón, Media Luna, Vicana, entrarono in contatto con Fidel.

Il 9 maggio 1957 circa 18 contadini portati da Crescencio Pérez si unirono alla guerriglia. Quando avvenne l’attacco al quartiere di El Uvero, il 28 maggio 1957, più di 40 contadini montani facevano parte della forza di 120 guerriglieri che attaccò l’edificio.

Il rapporto tra il mondo contadino e la Rivoluzione cubana si rafforzò, e quella cooperazione attiva nella Sierra Maestra, dove si stabilì il nucleo guerrigliero, fu essenziale per il trionfo del 1º gennaio 1959.

Oltre a essere un semplice rifugio, queste comunità divennero l’anima logistica e morale dell’Esercito Ribelle. Fornirono collegamenti, alimenti, medicine, vestiario e quel che era più prezioso: una conoscenza precisa dei sentieri, dei cammini e dei nascondigli che facilitarono la mobilità e la sopravvivenza dei combattenti.

Molte volte arrivarono persino a rischiare la vita per trasportare armi, portare feriti o facilitare le comunicazioni tra diversi gruppi guerriglieri. Il loro sostegno diretto fu essenziale perché la guerriglia rimanesse attiva e organizzata di fronte alla forte persecuzione e ai bombardamenti scatenati dal regime di Batista.

Senza dubbio, come notava Fidel, i contadini di allora non erano diversi da quelli del 1868 e del 1895.

IL PREZZO DELLA LOTTA

Nonostante la violenza repressiva —che includeva attacchi alle loro abitazioni e spostamenti forzati— le famiglie contadine mantennero il loro impegno.

Questo vincolo di mutuo sostegno e sacrificio trascendeva la mera alleanza politica: fu una vera fratellanza costruita nell’avversità, nella quale Fidel e i suoi uomini dipendevano da quelle famiglie per resistere e avanzare, e loro, a loro volta, vedevano nella Rivoluzione la chiave della dignità e della giustizia sociale.

Dell’aiuto prestato da questo segmento della popolazione all’Esercito Ribelle, il contadino José del Río Santos dichiarò: «Abbiamo dato il nostro appoggio a Fidel e ai suoi uomini con tutto ciò che avevamo perché era il modo di porre fine all’inferno in cui vivevamo».

La dedizione delle famiglie contadine della Sierra Maestra ebbe un costo molto alto. Il regime di Batista, nel disperato tentativo di sconfiggere la guerriglia, lanciò intensi bombardamenti sulle terre dove vivevano, cercando di sradicare il sostegno popolare all’Esercito Ribelle. Nonostante queste drammatiche circostanze, la resistenza contadina rimase salda.

Il Comandante in Capo, invece, non si limitò a essere un leader dalle promesse vuote; il suo rapporto con la gente della montagna fu segnato da azioni concrete che dimostravano un impegno autentico. Più di una volta Fidel e i suoi combattenti parteciparono attivamente ai lavori quotidiani delle comunità, come aiutare nella raccolta del caffè o nel sostegno alle riparazioni e alle costruzioni.

DA AFFITTUARI A PROPRIETARI

A quattro mesi dal trionfo rivoluzionario del 1959, Fidel mantenne una delle promesse fatte in “La storia mi assolverà”, firmando la Legge di Riforma Agraria, mediante la quale furono distribuite oltre cinque milioni di caballerías [3] di terra a circa 200.000 famiglie contadine, consolidando la piccola proprietà agricola ed eliminando gli affitti abusivi. Finalmente i contadini recuperarono il diritto alla terra, negato nella condizione di neocolonia e di sfruttamento.

«[…], la Legge di Riforma Agraria significò per tutti quei contadini la scomparsa della paura. Da quel momento ogni contadino poté sentirsi sicuro della propria terra, senza timore di essere sfrattato», sottolineò Fidel.

I contadini parteciparono alla creazione di organizzazioni come le cooperative e l’Associazione Nazionale dei Piccoli Agricoltori, rafforzando il loro ruolo produttivo e sociale, diventando alleati e protagonisti del processo.

Decenni dopo la vittoria rivoluzionaria, il legame tra Fidel e le famiglie contadine della Sierra Maestra rimane un’eredità viva nella memoria e nelle stesse comunità. Molti discendenti mantengono vivo il racconto di quegli anni di lotta e sacrificio, e le tradizioni di solidarietà e impegno continuano radicate nella regione.


NOTE

[1] “Yarey” è un termine che si riferisce a una palma e a oggetti fatti con le sue fibre, principalmente diffuso a Cuba, Repubblica Dominicana e Porto Rico.

[2] Un bohío è una capanna tradizionale in legno e rami, diffusa nelle zone rurali dell’America Latina. Originariamente utilizzata dalle popolazioni indigene, è costruita con materiali naturali come legno, foglie di palma, canne o paglia, e spesso non presenta altre aperture oltre all’ingresso.

[3] Una caballería era un’antica unità di misura della superficie agricola, equivalente a circa 3.863 are.

Traduzione a cura di Giulio Chinappi

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