
Siria; Daesh, meglio noto come ISIS, ha avuto una dura giornata nella zona di Palmira, in gran parte a causa dei raid aerei russi sulle loro difese in questo fronte nel deserto. Secondo gli ultimi rapporti dal fronte di Palmira, l’aviazione russa ha colpito le posizioni di un battaglione dell’ISIS nei pressi di Jabal Qassoun, uccidendo 18 terroristi e distruggendo tre pick-up dotati mitragliatrici antiaeree.
Il ritiro russo è reale, ma ovviamente Mosca non ha ritirato e non ritirerà tutte le truppe nella loro interezza. Ormai la forza dell’ISIS è agli sgoccioli, quindi non occorrono tutte le forze dislocate all’inizio dell’intervento russo che – è il caso di ricordare – è durato esattamente quanto era stato annunciato da Mosca, e cioè 6 mesi. Sia il dispiegamento che il ritiro erano stati concordati col Governo di Damasco: l’unico legittimo e quindi l’unico a poter concedere l’accesso al proprio territorio.
Chiaramente, restano alcune sacche di resistenza, ma ormai sono così deboli che i siriani, peraltro eroici, possono gestirli da soli; i russi si limitano a qualche bombardamento e a fornire loro informazioni relative alle posizioni nemiche. Da notare che comunque i siriani non resterebbero soli, anche in caso di totale ritiro russo: vi sono gli Hezbollah e alcuni militari iraniani, anche di rango molto elevato.
Tuttavia, i russi lasceranno comunque presidi militari nelle loro basi. Come dichiarato dallo stesso governo russo, in pochissimo tempo, Mosca può tornare a schierare forze anche più ingenti di quelle presenti all’inizio della campagna, se sarà necessario. Non si tratta di quell’inutile dinosauro della NATO, e neppure del mastodontico apparato americano, i quali necessitano anche di un anno, prima di poter essere utilizzati con efficacia.
Piaccia o no ai sostenitori del terrorismo e ai russofobi (le due categorie di fatto coincidono) la guerra in Siria (e in Ucraina) l’hanno vinta i russi e i loro alleati regionali: Siria, Iran, Hezbollah. E agli americani non resta che scegliere fra piangere sul latte versato, negare la realtà, o sedere al tavolo delle trattative. Finora, le prime due opzioni sono state le più gettonate; nei prossimi mesi, magari con un nuovo presidente, Washington potrebbe decidere di tirar fuori la testa da sotto la sabbia e fare i conti con la realtà, non solo siriana, e cioè che il mondo unipolare, dell’eccezionalismo americano, è finito.