Tanto è stato sanguinoso l’attentato avvenuto oggi a Baghdad, con un bilancio di ben 200 morti e 225 feriti, che il governo iracheno ha subito interrotto i festeggiamenti per le recentissime conquiste militari ottenute a danno del Califfato, dichiarando tre giorni di lutto nazionale. Si tratta infatti della più grande strage, provocata da due autobombe e prontamente rivendicata dall’ISIS, che il paese abbia conosciuto dal 2007 a questa parte.

Molti analisti, come già era avvenuto con l’attentato di Dacca, nel Bangladesh, hanno subito fatto notare come il ricorso all’arma terroristica rappresenti un segno di grave indebolimento dell’ISIS. Grazie ai bombardamenti russi e alla parallela riscossa delle truppe siriane ed irachene, infatti, il Califfato ha perso in poco tempo metà del suo territorio ed alcune delle sue città più importanti, come ad esempio Fallujah, sua capitale irachena, o Tikrit, città natale di Saddam Hussein, epicentro del famoso “triangolo sunnita” dove, nel 2014, gli uomini dell’ISIS perpetrarono la famigerata strage di Camp Speicher, in cui persero la vita non meno di 1700 soldati sciiti iracheni (e questa è, purtroppo, solo una stima molto al ribasso).

Di fronte ad una simile situazione il Califfato reso militarmente sempre meno temibile cerca una rivalsa ed una compensazione nelle sue attività originarie, ovvero nel terrorismo. Mentre svanisce o comunque s’indebolisce la sua dimensione statale, l’ISIS rilancia la sua dimensione d’organizzazione terroristica ed eversiva, capace col proprio richiamo di mobilitare decine di migliaia di cellule dormienti in giro per il mondo. Non a caso, contemporaneamente all’attentato di Baghdad, anche in Malesia s’è registrato un gesto terroristico che le autorità locali hanno classificato come la prima azione di successo dell’ISIS in terra malese.

Esattamente come per al Nusra, anche per l’ISIS il crescente ricorso al terrorismo individuale o da parte di piccoli gruppi costituisce la dimostrazione della crescente crisi militare. La Siria e l’Iraq si sono rafforzati e grazie al supporto russo sono passati al contrattacco macinando giorno per giorno le milizie del Califfato e dei suoi alleati. Gli attentati individuali o da parte di piccoli gruppi dovrebbero servire, dal punto di vista dell’ISIS e di al Nusra, a scoraggiare e demoralizzare gli avversari, che tuttavia ormai pare non abbiano più alcuna paura, avendo completamente riguadagnato fiducia nella loro causa e nella sua possibilità di vittoria.

Si conclude così una parabola di sangue: col terrorismo l’ISIS ha iniziato la propria carriera e col terrorismo la conclude, dopo la breve parentesi di un’efferata parentesi statale celebrata con lo sgozzamento di curdi, sciiti e yazidi, con la riduzione delle loro donne a schiave sessuali, e persino col ricorso ai bambini soldato, cosa anche questa di cui s’è parlato sempre poco, troppo poco.

Parlavamo poc’anzi dell’intervento russo: è stato solo per merito di quest’ultimo se le cose, fra la Siria e l’Iraq, ad un certo punto hanno cominciato a cambiare a danno del Califfato. In precedenza, per ben un anno, la Francia e gli Stati Uniti avevano millantato di bombardare l’ISIS, col supporto di una Turchia che persino i sassi sapevano essere finanziatrice del Califfato. In realtà, anziché bombardare gli uomini dell’ISIS, gli aerei francesi e statunitensi colpivano i soldati dell’esercito siriano e i combattenti di Hezbollah loro alleati, e persino i volontari iraniani a loro rinforzo, a rischio pure di gravissime conseguenze politiche e diplomatiche. Gli uomini dell’ISIS invece si vedevano paracadutare, ma ovviamente solo per errore, pacchi di armi e di munizioni teoricamente destinate alle milizie curde e yazide. Infatti, in quell’anno di bombardamenti franco-statunitensi, il Califfato anziché indietreggiare avanzava, conquistando sempre più territori, fino ad impossessarsi addirittura di Palmira.

A smascherare questa pantomima ha provveduto proprio l’intervento della Russia, che in quindici giorni ha fatto di più di quello che francesi e statunitensi (non) avevano fatto in un anno, ovvero disgregare a suon di bombe ben mirate ed assestate il Califfato. Tuttavia, per celare questa verità ai cittadini europei, i media occidentali hanno attribuito alla “coalizione” franco-americana i meriti dell’aviazione russa e persino la riconquista di Fallujah, in realtà merito soltanto dell’esercito iracheno.

Si tratta, per i media occidentali, di nascondere la pesante sconfitta strategica che i padroni dell’Europa e degli Stati Uniti hanno riportato in Medio Oriente: le loro truppe locali (ISIS ed al Nusra), lautamente finanziate ed armate per abbattere Assad, sono ormai ridotte a mal partito; le Primavere Arabe si sono ritorte contro di loro, col risultato che il Medio Oriente sempre più sfugge dalle mani dell’Occidente per finire sotto l’influenza russa e cinese; Assad si rafforza sempre di più, giorno dopo giorno, e con lui anche la sicurezza che i piani occidentali a suo danno saranno presto di dominio pubblico anche a livello euro-americano, cosa che nel caso di Gheddafi era stata scongiurata. Questa immane sconfitta strategica, grazie al quarto potere, ovvero al mondo dei media, dev’essere rivoltata come una frittata e trasformata in una grande vittoria dell’Occidente. Sarà possibile? E, se sì, per quanto tempo?

Una cosa è certa: in pochi, in Occidente, piangeranno per le duecento vittime della strage di Baghdad: perché sono arabi, musulmani e vivono lontano, in un paese “sfigato”. Eppure proprio questa tragedia dovrebbe indurci a riflettere e farci capire come le prime vittime dell’ISIS e del terrorismo islamico siano proprio i musulmani, i primi che si siano trovati in casa propria a fare i conti coi tagliagole del Califfato e a subirne il desiderio di morte. E allora non stupiamoci se in tutte le città a mano a mano sottratte al Califfato i soldati dell’Esercito Arabo Siriano vengono accolti come eroi e liberatori: mettiamo pure da parte la propaganda impartitaci dai nostri media, perché quello è un giorno di festa che vale anche per noi.

Ma in ogni caso, al di là di tutto di questo, prepariamoci perché quel che è successo a Baghdad non sarà di certo l’ultimo attentato dell’ISIS. Altri ancora, presumibilmente, ne verranno, anche quando l’ultima bandiera nera sui territori siriani ed iracheni occupati sarà stata ammainata. L’ISIS tornerà ad essere come al Qaeda: un’organizzazione liquida, sotterranea, diffusa a macchia di leopardo a livello globale e soprattutto pronta a colpire in qualsiasi tempo e luogo. I soldati siriani ed iracheni combattono anche per la nostra salvezza e non soltanto per la loro, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte. I russi, unici fra gli occidentali, l’hanno capito fin dal primo giorno, mentre noi ci siamo stolidamente ed accanitamente schierati dall’altra parte, quella che ci vede vittime e danneggiati. Ma il dovere di fare le scelte giuste, di schierarci dalla parte giusta, continua a chiamarci. Parafrasando Hemingway: “Per chi suona la campana?”.

Filippo Bovo

UN COMMENTO

  1. Grazie alla Russia di Putin,ora i terroristi vengono sconfitti,insieme ai siriani irakeni curdi e tutti quelli che non hanno creduto alle frottole criminali di americani e sauditi che hanno fino ad oggi finanziato e supportato Daesh. La faccia tosta di accaparrarsi meriti che non hanno fa scifo quando fino ad oggi perfino si erano opposti ai bombardamenti dei convogli in fuga dei terroristi. La strategia occidentale ha fallito grazie alla Russia e alla Cina che hanno capito subito le mosse e hanno operato per bloccare i tentativi di rafforzare i terroristi… Ora la loro sconfitta é palese. Con la Russia in campo siamo tutti più sicuri..

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