Riassunto puntate precedenti

L’11 febbraio 1994, forzando la lettura della legge 225/92 sulla protezione civile, il governo (Ciampi) proclamava lo stato d’emergenza nella Regione Campania. Non per una catastrofe naturale, ma per l’incombente impossibilità di non sapere più dove e come smaltire la monnezza urbana.

Impossibilità a sua volta causata dalla (voluta) negligenza dell’allora giunta regionale nell’applicare la legge pur da essa stessa approvata pochi mesi prima.

L’emergenza doveva durare solo tre mesi. Ed invece, nel 1999 non solo era ancora vigente, ma si era smisuratamente aggravata. Grazie alla folle incoscienza di un intero ceto politico che, pur di non perdere voti e clientele, preferiva procrastinare la completa attuazione del piano regionale (proposto da Rastrelli nel 1997); da un lato evitando di decidere dove e quali impianti costruire; dall’altro, preferendo continuare a farsi commissariare pur di non decidere.

Arrivando al delirio di avere un commissario (che dal 1996, coincideva con il Presidente della Regione Campania) tenuto a chiudere le discariche; e un sub-commissario che, invece, nel nome dell’eterna emergenza, era costretto oramai a cercare un buco qualsiasi dove buttare la monnezza.

A questo punto, entra scena Antonio Bassolino.

1 – Diminuisco ma aumento: 1999, la differenziata creativa

Punto cruciale del rapporto tra chiusura delle discariche e avvio della soluzione della tragedia monnezza era la raccolta differenziata: ma il piano avviato in merito nel 1999 appariva chiaramente destinato a un fallimento non solo esplicitamente affermato, ma persino indicato come obiettivo da raggiungere.

Infatti, mentre nel 1998 era stato affermato da Rastrelli stesso che l’obiettivo da raggiungersi, per quanto riguarda la differenziata, era del 35 % entro il 19991, con la opcm n. 2948 del 25 febbraio 1999 (Presidente del Consiglio Massimo D’Alema) si indicavano come risultati da conseguirsi: il 15% entro il 31 dicembre 1999 per quanto riguardava carta, plastica, vetro, metalli, legno (art. 2 comma 1), ed il 25 % entro il 2001; per quanto riguardava la “frazione umida”, si indicavano obiettivi ancor più fallimentari: il 10% entro la fine del 1999, ed il 15% entro il 2001.

Ma anche tali obiettivi, nonostante persino il loro drastico ridimensionamento, erano in realtà ai limiti dell’impossibile. Per un motivo molto semplice: neanche la raccolta differenziata, indispensabile punto di partenza per la soluzione definitiva del problema, era stata mai avviata. Infatti, nel 1998, a fronte di media nazionale dell’ 11%, la Campania presentava un ridicolo 1%, con un altrettanto ridicolo incremento all’1,8 % nel 2000. La seguente tabella2 è quanto mai eloquente in proposito:

Insomma, pur sapendo benissimo che senza differenziata non si poteva andare da nessuna parte, né Rastrelli, né Losco, avevano fatto nulla per avviarla sul serio.

Come rilevato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta nel 2002 (quando cioè Bassolino era già da due anni Commissario straordinario), della differenziata se ne parlava solo, ed a vanvera, pur di non farla sul serio: «la gestione commissariale non sembra avere ravvisato nella raccolta differenziata il perno della gestione integrale dei rifiuti, posto come obiettivo dal legislatore nazionale. Le indicazioni programmatiche del piano, che prevedevano ben cinque impianti termodistruttori (ora ridotti a due a seguito delle pressioni del Ministero dell’ambiente e della Commissione), hanno di fatto distolto l’attenzione dei comuni dalla raccolta differenziata, ritenuta come un aggravio di costi, da sostenere con significativi finanziamenti aggiuntivi»3.

Giudizio condiviso in seguito dalla Corte dei Conti: «alcune attività di ricognizione o di diffusione di informazioni o notizie utili per la formazione della cultura della raccolta differenziata avrebbero potuto essere già svolte in passato, ponendosi come interventi caratterizzati da sufficiente autonomia gestionale e non comportanti grandi problemi tecnici. Proprio in relazione a tale aspetto, è mancata una idonea azione di diffusione, che sarebbe stata utile per concretizzare una differenziazione anche domestica dei rifiuti. Significativamente, la stessa Amministrazione afferma di essersi attivata solo alla fine del 1999, vale a dire a ben tre anni dall’affidamento della gestione. In particolare, è mancata nell’azione commissariale quell’attività di sorveglianza e di stimolo imposta sia dalla normativa nazionale (d.lgs. n. 22/1997), sia dalla legge regionale n. 10/1993, sia dal Piano regionale di smaltimento dei rifiuti e sia dall’ordinanza ministeriale n. 2425 del 1995 e dalle successive ordinanze»4.

2 – Che vada come vada, tanto io me ne vado

La trasformazione dell’emergenza in tragedia che si ha a partire dal 1999 – 2000 nasce dunque dal fatto che tutto quello che poteva essere fatto per non evitare la catastrofe, sarà fatto. Innanzi tutto continuano a non essere costruiti gli impianti; anche grazie ad un’altra dissennata scelta di Losco: «prorogare di un anno i termini fissati per la stipula del contratto di gestione relativo agli impianti di CDR»5. Ossia: se la vedesse il mio successore…

Poi, come si è visto, non viene potenziata la raccolta differenziata, non vengono chiuse le discariche, non si cerca la collaborazione dei comuni per la dislocazione degli impianti e dei siti di stoccaggio; mentre invece viene fatta l’unica cosa che, a detta di tutti, non si poteva più fare: continuare, sempre più disperatamente e affannosamente, a cercare “un buco” (per riprendere l’immagine di Romano) dove sversare “la monnezza”.

Le ragioni di queste scelte apparentemente deliranti erano in tutta evidenza politiche: nei dodici mesi di proroga ci sarebbero state le nuove elezioni regionali, che il centrosinistra non era affatto sicuro di vincere; inoltre, in ogni caso, Losco non si sarebbe presentato come presidente uscente (mentre aveva un seggio assicurato come europarlamentare): insomma, se ne lavava le mani passando, per così dire, la “patata bollente” a chiunque fosse stato il suo successore.

2 – Lo strano trionfo di Bassolino. Vinco, ma controvoglia

Nel 2000 arriva la scadenza elettorale delle regionali. Tutto ciò che è accaduto dopo (dall’iniziale apoteizzazione di Bassolino alla catastrofe del 2008), ha fatto dimenticare un aspetto che, se visto proprio alla luce degli avvenimenti successivi, può essere molto più facilmente spiegato di quanto non lo sia stato sul momento: e cioè che, fino all’ultimo, Bassolino non voleva candidarsi nel modo più assoluto alla presidenza della Regione.

Nel 2000, Bassolino era ancora sindaco di Napoli, e il suo prestigio di artefice del cosiddetto “Rinascimento napoletano” era ancora intatto. E proprio sulla scia di questo successo, fin dall’autunno 1999, nei DS era iniziato a circolare il suo nome come eventuale candidato dell’Ulivo alla Regione 6.

Bassolino inizialmente non si pronuncia in modo netto («il centrosinistra lavora alla candidatura di Antonio Bassolino, il quale non ha ancora sciolto la riserva»7); è invece proprio Mastella, ossia il segretario del partito cui appartiene il governatore uscente Losco, a indicare, prima ancora dei DS, il nome di Bassolino in modo quasi ultimativo (nonché vagamente ricattatorio …): «Se non c’è Bassolino, la situazione è anche a rischio sconfitta. Per cui, a quel punto, potremmo anche valutare di andare da soli»8. Traduzione: ci vendiamo al miglior offerente …

Paradossalmente, insomma, ad inizio campagna elettorale a voler Bassolino candidato-presidente più un loro candidato a sindaco di Napoli sono i “centristi” (PPI e Udeur, cioè De Mita e Mastella); i DS, invece, l’esatto contrario.

E sarà proprio in questi giorni, ed a causa di queste polemiche, che nascerà il binomio politico-istituzionale poi portato alla rovina dalla catastrofe del 2008 (ma non solo da questa): si inizia a parlare, cioè, di Rosa Russo Jervolino come possibile candidata alla Regione, mantenendo Bassolino al Comune. Diceva Napolitano (allora eurodeputato): «”possono esserci candidati adeguati alla guida della Regione che non siano diessini, sarebbe la soluzione più opportuna dal punto di vista politico”. Napolitano sembra alludere all’ ex ministro dell’ Interno Rosa Russo Jervolino, popolare. Ha già rifiutato la candidatura. Ma potrebbe ripensarci, spinta proprio da Bassolino. Il sindaco resterebbe a Palazzo San Giacomo e potrebbe contare sull’ appoggio della Jervolino, sua amica, proiettandola a Santa Lucia. “Rosetta se ti candidi alla Regione ti offro tutto l’ aiuto possibile, sei popolare tra la gente, ce la farai…”, avrebbe detto Bassolino»9.

Insomma, al di là dei tipici giochi preelettorali, un fatto è certo: nessuno, all’interno del centrosinistra, sembrava volere la candidatura di Bassolino alla presidenza della regione. Perché? Semplice: in caso di vittoria, avrebbe significato l’automatica assunzione della (scomodissima) carica di Commissario per l’emergenza rifiuti.

Ma l’atteggiamento di Bassolino appare decisamente ambiguo, poiché il suo rifiuto non sembra poi così assouto: «il sindaco non vuole scendere in campo. Però lo fa capire, non lo dice con chiarezza. A chi lo incalza sulla presidenza della Regione, fa sapere: si può rifiutare formalmente una candidatura solo quando viene formalmente offerta. Rivendica un merito: se non scioglie la riserva, il centro-destra non sceglie il futuro premier. Tuttavia il sindaco non vuole ripetere l’errore del ribaltone. Stavolta partecipa al dibattito, vuole usare il suo peso politico per determinare la nomina del candidato. Preferirebbe l’ ex ministro dell’ Interno Rosa Russo Jervolino, sua amica, ideale contrappeso di centro per l’ uomo di Palazzo San Giacomo»10.

3 – L’ira di Antonio (gennaio 2000)

I tatticismi di Bassolino emergono esplicitamente al congresso dei DS che si tiene negli stessi giorni (13 – 16 gennaio 2000) a Torino. Ufficialmente a causa di un tutto sommato marginale episodio, abbandona il congresso: «Bassolino, che ha litigato con la presidenza del congresso se n’è tornato a Napoli”11. Il motivo: “divergenze sulla collocazione del suo intervento»12.

Ed in effetti, sembra proprio che Bassolino faccia di tutto per ingigantire l’episodio, proprio come se stesse cercando un pretesto valido per giustificare il suo rifiuto a candidarsi alla Regione: «sembra che i responsabili dell’ organizzazione abbiano chiesto a Bassolino di posticipare il suo discorso. L’ ex ministro l’avrebbe presa male. Come una sorta di declassamento, uno sgarbo. Fino ad annunciare il suo polemico forfait. Bassolino ha avuto un’animata discussione con l’ufficio di presidenza. Nell’entourage del sindaco si minimizza, si parla di un equivoco che non nasconde alcun dissenso politico con Veltroni o D’Alema. Ma può essere classificato come semplice equivoco un gesto polemico così clamoroso?»13.

Bassolino, insomma, avrebbe letto lo spostamento della data del suo intervento come un segnale, da parte dei vertici nazionali, del suo ridimensionamento politico: «teme una manovra a tenaglia D’Alema-Veltroni per escluderlo dalla scena politica nazionale, relegandolo a Napoli altri cinque anni»14.

“Manovra” messa in atto appunto con lo spostamento non casuale del suo intervento: poiché il venerdì avrebbe parlato tra i leader nazionali; sabato o domenica, tra i leader (ed i candidati) regionali. E infatti, «circolano anche altre spiegazioni. Veltroni, nel suo discorso, esaltando la “rivoluzione dei sindaci” aveva citato un solo nome, quello di Bassolino. Lodando subito dopo il “coraggio” del ministro Livia Turco, disponibile a candidarsi alla presidenza della Regione Piemonte alle prossime elezioni. La platea aveva tributato un’ovazione alla Turco. Questo accostamento di nomi era apparso come un implicito invito a Bassolino ad accettare la candidatura alle prossime regionali. Questo accostamento di nomi era apparso come un implicito invito a Bassolino ad accettare la candidatura alle prossime regionali. Solo che il sindaco non vuole saperne»15.

Meno di venti giorni dopo, il 4 febbraio, e quando ancora il 3 si dava per assolutamente certo che non si sarebbe candidato16, altra giravolta di Bassolino: si dimette da sindaco per candidarsi alla presidenza della Regione; cioè, come si farà notare, l’ultimo giorno utile per evitare il commissariamento del Comune17.

Questo improvviso e del tutto inaspettato voltafaccia di Bassolino viene spiegato, ovviamente, con fortissime pressioni che avrebbe ricevuto dai vertici nazionali dei DS. Veltroni in persona avrebbe infatti praticamente minacciato il sindaco: «inseguito dalle telefonate di Veltroni: o ti candidi alla Regione o mi dai un uomo per vincere»18. Pressioni che, come pare sottintendere un articolo di Repubblica, sarebbero state, per così dire, “rafforzate” con calcolate assenze dei consiglieri comunali (dei DS e non solo) in occasione dell’importante discussione sul piano regolatore (tenutasi agli inizi di febbraio 2000 e appunto saltata per mancanza del numero legale).

Bassolino dunque, si sarebbe candidato perché messo spalle al muro e isolato nel suo stesso partito: «perché lascia, e che cosa? Era ancora aperto il congresso dei Ds a Torino, quando si ipotizzava un suo distacco dal partito. Era impossibile. Debole dopo l’addio al ministero, sempre più distante da Botteghe Oscure, qui è il sindaco rieletto con il 73 per cento, conta a Napoli quanto De Luca a Salerno. Toccava ad uno dei due. Bassolino avrebbe rischiato di perdere la partita senza giocarla, se davvero il centrosinistra si fosse affidato ad un intellettuale, tramontata ormai anche l’ipotesi Jervolino. Non aveva scelta: assecondare il partito, seguire una regia invisibile»19.

Dunque, Bassolino, candidato-presidente suo malgrado20 perchè obbligato da Veltroni e D’Alema:

«per la seconda volta, dopo l’ esperienza ministeriale del novembre 199821, i leader del partito lo hanno piegato. Ancora più desolanti sono i motivi della candidatura Bassolino. Non per responsabilità sua (in un certo senso ha ceduto ad una pressione), ma dei capi diessini. Essi hanno visto la possibilità di agguantare due piccioni con una fava. In primo luogo hanno spinto il sindaco a presentarsi proprio perché è unanimemente considerato l’unico candidato capace di condurre il centro-sinistra alla vittoria in Campania ad aprile. Soprattutto in una prospettiva non facile, dovuta principalmente al vizio d’origine dell’ amministrazione uscente, ossia quella del ribaltone presieduta da Andrea Losco»22.

5 – Bassolino si piega ma non si spezza …

E infatti, persino nella prima conferenza stampa successiva alla sua candidatura, Bassolino insiste nell’indicare la Jervolino e non lui come candidato ideale del centrosinistra alla Regione; mentre invece, si noti, si dichiara contrario ad una sua (della Jervolino) eventuale candidatura a sindaco di Napoli: «siamo ancora in tempo, se Rosetta ci ripensa per la Regione, straccio la lettera di dimissioni»23.

Sicuramente, nel rifiuto ostinato di Bassolino di candidarsi pesava il fatto che, scadendo il suo mandato di sindaco in coincidenza con le elezioni politiche del 2001, e non potendo più ricandidarsi a sindaco24, con tutta probabilità sarebbe stato candidato (ed eletto) al Parlamento; e, in caso di vittoria del centrosinistra, non era affatto escluso potesse diventare ministro, data la grande (e positiva) rilevanza mediatica e di “immagine” assunta durante i suoi otto anni di Sindaco.

Ma non va dimenticato che, nei DS dell’epoca era ancora forte la tradizione derivante dall’ex PCI (in cui Bassolino era politicamente cresciuto): le ambizioni personali dovevano sempre essere messe in secondo piano rispetto all’interesse del partito. Per cui, diventato evidente che il suo era uno dei pochissimi nomi, nel centrosinistra, considerabili vincenti nella corsa alla Regione, il suo ostinato rifiuto era ben difficilmente accettabile dai vertici nazionali DS.

La tragicommedia bassoliniana (che non può non definirsi squallida) si conclude non meno ridicolmente di com’era iniziata.

il 24 febbraio 2000 Bassolino addirittura ritira le dimissioni da sindaco; il 15 marzo, dopo più di due settimane della più classica baraonda di dichiarazioni, controdichiarazioni, trattative, candidature lanciate e ritirate, divisioni correntizie interne ai DS e al PPI, si raggiunge il più tipico accordo spartitorio. Bassolino resta candidato del centrosinistra alla Regione; ma degli undici nomi del “listino” (ossia di coloro che, in caso di vittoria, diventerebbero automaticamente consiglieri regionali), otto vanno ai moderati (PPI e Udeur) e tre a “esponenti della società civile” legati a Bassolino25; mentre un rimpasto nella giunta comunale premia l’Udeur di Mastella.

3 – L’emergenza scomparsa

Può così dunque finalmente partire la campagna elettorale. Nella quale di emergenza rifiuti non se ne parlerà nel modo più assoluto. E non è difficile capire il perché: cosa avrebbero dovuto dire, sia Rastrelli che Bassolino? Che da lì a pochi mesi era assolutamente certo che non avrebbero saputo come e cosa fare per evitare l’altrettanto certa catastrofe? Unica generica proposta: “no alla termodistruzione”, ossia agli inceneritori 26.

Bassolino vince con il 54% dei voti. Nel consiglio regionale, 38 seggi vanno al centrosinistra, 22 al Polo delle Libertà.

Ma i risultati dei singoli partiti mostrano che, in realtà, la presidenza di Bassolino sarà ostaggio dei moderati: «considerato che i candidati presidenti hanno ottenuto circa 200mila voti in più della somma delle liste, l’effetto presidente per Bassolino non è stato molto diverso, in proporzione, da quello conseguito da Rastrelli sull’altro fronte. Non c’è dubbio poi che il successo, politicamente parlando, appartiene più alle liste di centro che a quella del suo partito. La Quercia infatti tiene rispetto alle europee, ma cala sensibilmente sulle precedenti regionali, lasciando sul terreno un abbondante cinque per cento. Perdono un paio di punti anche i Democratici. Sicché, detto della continuità delle due forze comuniste e della stabilità a bassa quota dei verdi, a reggere la baracca pare essere soprattutto il balzo del Ppi, che recupera percentuali a due cifre, e la stabilità delle altre forze centriste, che dovranno ora essere spesi sul terreno del governo regionale. Mancando un partito leader, la coalizione sarà probabilmente estremamente spezzettata in Consiglio. Tanto per fare un esempio non ci sarà l’egemonia diessina che uscì clamorosamente dal voto comunale di due anni fa»27.

E difatti, le trattative per la formazioni della giunta saranno lunghissime: ancora al 7 giugno, la Giunta non era completata.

4 – 7 giugno 2000: “non sapevo cosa firmavo”

Il 7 giugno 200028, Bassolino, da due mesi nuovo presidente della Regione, firmava, in qualità di commissario all’emergenza, il contratto definitivo con il consorzio29 aggiudicatosi l’appalto: «Accordo firmato tra il presidente della Regione, Antonio Bassolino e la Fisia Italimpianti: entro dieci mesi saranno in funzione tre strutture per lo smaltimento di 4.200 tonnellate di rifiuti al giorno. Saranno a Giugliano, Caivano e Tufino. Un quarto impianto sarà costruito, invece, ad Acerra: giungeranno qui i rifiuti già trattati e assemblati pronti per essere trasformati in energia elettrica. Un progetto che consentirà finalmente la chiusura delle discariche e un vero riciclaggio dei rifiuti. I costi per la realizzazione di questi impianti (inizialmente 800 miliardi che aumenteranno a 1.400 nei prossimi mesi) sono totalmente a carico della Fisia. Per costruirli lavoreranno 500 persone»30.

Dunque, la firma del contratto avrebbe dovuto segnare la fine definiva dell’emergenza: ed invece, proprio questa firma ha costituito l’ultimo tassello a comporre il mosaico della catastrofe. Poiché, le sue “strane” clausole e le modalità (non meno singolari) di aggiudicazione non solo saranno alla base della mancata costruzione degli impianti; ma costituiranno un ulteriore motivo di esasperazione e di rivolta delle popolazioni locali. In sostanza, gli aspetti poi (a ragione) contestati di tale accordo furono:

  • l’aver privilegiato ragioni di risparmio economico e di tempo, a discapito della qualità tecnica e della effettiva capacità realizzativa;
  • la totale libertà di scelta affidata alla ditta aggiudicatrice per quanto riguardava l’ubicazione di tutti gli impianti (da quelli di produzione di cdr ai termovalorizzatori, ai siti di stoccaggio);
  • la rinuncia, autorizzata dal Governo e sottoscritta da Bassolino, alla obbligatorietà della valutazione di impatto ambientale;
  • l’assenza di un piano provvisorio di “parcheggio” dei rifiuti nell’attesa che a) venissero costruiti gli impianti di cdr e, di seguito b) nello spazio di tempo intercorrente tra l’entrata in funzione di questi e il completamento dei termovalorizzatori (che richiedevano necessariamente un periodo più lungo di messa in opera).

Su questi punti, il giudizio sia della Corte dei Conti che della Commissione parlamentare d’inchiesta sarà durissimo e senza mezzi termini: già sul momento, all’atto della presentazione dell’offerta poi giudicata vincitrice, ci si doveva e poteva accorgere che «notevoli risultano essere stati i punti deboli dell’impostazione commissariale di tale affidamento … per i criteri di aggiudicazione, fu attribuita, sempre sul presupposto dell’emergenza, scarsa rilevanza alla valutazione in merito alla qualità tecnica dell’impiantistica proposta, in relazione alle tecnologie di realizzazione degli impianti di termovalorizzazione; conseguentemente, la gara consentì l’aggiudicazione a soggetti che, pur avendo presentato un progetto di modesta qualità tecnica, avevano offerto un prezzo ed una tempistica competitive rispetto agli altri concorrenti. Ciò ha prodotto conseguenze negative rilevantissime nel corso degli anni»31.

La gravità delle scelte di Bassolino, ossia di privilegiare il solo aspetto del risparmio di tempo e denaro, è ancor meglio messa in luce dalla relazione del 2006 della Commissione Parlamentare d’inchiesta: «procedure e tempi previsti per la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione sono risultati poco verosimili, se non addirittura velleitari»32. E ciò, appunto, perché «in definitiva, l’emergenza … aveva condotto ad attribuire un peso determinante, nell’aggiudicazione, ai tempi di realizzazione degli impianti, con sacrificio del valore tecnico-scientifico delle opere»33.

Insomma: la Fibe aveva promesso e sottoscritto impegni che sapeva di non poter mantenere. O almeno: già al momento della sottoscrizione del contratto, esisteva un’alta probabilità che non avrebbe potuto mantenere.

Quanto alla scelta, indiscutibilmente singolare, di lasciare assoluta libertà di scelta alla Fibe delle ubicazioni degli impianti, pare sufficiente rifarsi a quanto affermato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta nel 2006: «la remissione della scelta dei siti in capo all’impresa aggiudicataria appare quanto meno incongrua sotto il profilo astratto ed è risultata poi in concreto più che azzardata. Infatti, da un lato la localizzazione era lasciata del tutto libera senza alcun criterio guida che tenesse conto delle situazioni territoriali pregresse, in modo da evitare di far ricadere nuovi interventi impiantistici in aree geografiche oggetto in precedenza di altri interventi in materia di rifiuti (siti in relazione ai quali, prevedibilmente, poteva essere evidente una impraticabilità “sociale”)»34.

Insomma, nemmeno troppo implicitamente, la Commissione affermava: se si lasciava totale discrezionalità di scelta alla Fibe sulle ubicazioni, e se questa andava a scegliere (come poi ha fatto) proprio luoghi come Acerra, Giugliano, S. Maria La Fossa, ecc., già gravati da decenni di utilizzo (abusivo e non) di discariche, le proteste e le rivolte sarebbero state prevedibili e pressoché inevitabili.

E come non bastasse, proteste e rivolte potevano e dovevano essere altrettanto prevedibili e altrettanto inevitabili anche perché nell’accordo del 7 giugno, come si è detto, vi era una incredibile “dimenticanza”: dove mettere i rifiuti intanto che venivano costruiti gli impianti di cdr e, successivamente, realizzati i cdr, nell’attesa che venissero terminati i termovalorizzatori? Surreale, grottesca risposta: nessuno ci aveva pensato.

Come avrebbe osservato la Commissione parlamentare, a contratto oramai firmato e a disastro avvenuto, si trattava di «un’incongruenza contenuta nel contratto di appalto, ove risultava mancante un piano relativo alla localizzazione delle discariche di supporto e di stoccaggio del CDR prodotto»35. “Incongruenza” sottolineata due volte nella stessa pagina: «in sede di gara non era stato definito, nè era stato richiesto all’aggiudicataria, un piano dettagliato relativo alle aree di stoccaggio del CDR e delle discariche di supporto»36.

Come si vedrà nelle prossime puntate, la Campania sarà stritolata da questa firma. Ovviamente, ci si è chiesti, ed è stato chiesto a Bassolino, come mai e perché si fossero sottoscritte ed approvate questa incredibile serie di “stranezze”.

La risposta di Bassolino è rimasta celebre: «il presidente si è rifugiato nella giustificazione meno gloriosa per un politico, specie se di navigata esperienza e di grande potere: non sapevo cosa firmavo … il governatore ha cercato di trarsi d’impaccio: a stendere le delibere erano i tecnici, tutta gente – tranne qualche eccezione – che era stata scelta dai miei predecessori e che io ho lasciato nell’incarico. Non avevo, dice Bassolino, né le conoscenze tecniche né il tempo per analizzare nei dettagli tutto quello che firmavo. Tradotto: firmavo senza capirci niente»37.

1 Corte Dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Campania, Deliberazione n. 155 /2010, cit., p. 23.

2 Corte Dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Campania, Deliberazione n. 155 /2010, cit., p. 23.

3Commissione parlamentare d’inchiesta, Documento sull’istituto del commissariamento per l’emergenza rifiuti, 21 dicembre 2002, in www.parlamento.it, p. 32.

4 Corte dei Conti, La gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai Commissari straordinari del Governo, 2007, cit., p. 56.

5 Corte Dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Campania, Deliberazione n. 155 /2010, cit., p. 23.

6 Si veda, ad esempio, E Prodi benedice il piccolo Ulivo, “Repubblica”, 17 ottobre 1999; Cacciari: Bassolino e io candidati possibili, “Repubblica”, 16 ottobre 1999.

7 B. Jerkov, Per la sfida delle Regioni desistenze e liste amiche, “Repubblica”, 3 gennaio 2000.

8 R. Fuccillo, Mastella: ‘In pista da soli se non corre Bassolino’, “Repubblica”, 6 gennaio 2000.

9Ibidem.

10 O. Ragone, Bassolino a Torino solo padre nobile, “Repubblica”, 13 gennaio 2000.

11 U. Rosso, Cofferati sferza il governo, “Repubblica”, 15 gennaio 2000.

12 Ibidem.

13 O. Ragone, Bassolino, schiaffo ai Ds, “Repubblica”, 15 gennaio 2000.

14 O. Ragone, Bassolino, esilio a Napoli. Vogliono tagliarmi fuori, “Repubblica”, 16 gennaio 2000.

15 O. Ragone, Bassolino, schiaffo ai Ds, art. cit.

16 O. Ragone, E Bassolino finisce alle corde, “Repubblica”, 4 febbraio 2000.

17 Ieri era l’ ultimo giorno utile per dimettersi, “Repubblica”, 5 febbraio 2000.

18 Comune, aula semi-vuota Prg al palo, “Repubblica”, 4 febbraio 2000.

19 Ibidem.

20 Ibidem.

21 Quando Bassolino fu, per sei mesi, contemporaneamente sindaco di Napoli e Ministro del Lavoro.

22Per Bassolino nessun vantaggio”, s.a., “Repubblica”, 7 febbraio 2000.

23 O. Ragone, Lista Bassolino per tutti. Troppe sigle, basta, “Repubblica”, 6 febbraio 2000.

24 La legge elettorale per i Comuni consentiva più di due mandati consecutivi; e Bassolino era appunto alla fine del suo secondo mandato.

25 O. Lucarelli, La rivincita dei partiti, “Repubblica”, 18 marzo 2000.

26 R. Fuccillo, Bassolino vola in Regione, “Repubblica”, 17 aprile 2000.

27 R. Fuccillo, Il centro va avanti i Ds perdono voti, “Repubblica”, 18 aprile 2000.

28 Cioè più di un anno dopo il termine massimo (31 maggio 1999) che era stato fissato nell’ordinanza della Presidenza del Consiglio n. 2425/1996.

29 Consorzio composto da: Fisia impianti s.p.a, Babcock Kommunal gmbh, Deutsche Babcock Anlagen gmbh, Evo Oberhausen ag, Impregilo s.p.a. La “Fibe” sarebbe diventata in seguito “Fisia”. In realtà, le ditte tedesche nominate avevano un ruolo di solo supporto tecnico e progettuale: la reale ed effettiva ditta costruttrice era la Fibe (Fisia)-Impregilo.

30 D. D’Antonio, Smaltimento rifiuti in arrivo 3 impianti, “Repubblica”, 8 giugno 2000.

31 Corte dei Conti, La gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai Commissari straordinari del Governo, 2007, cit., p. 45.

32 Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Relazione territoriale sulla Campania, 2006, cit., p. 23.

33 Ibidem.

34 Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Relazione territoriale sulla Campania, 2006, cit., p. 21.

35 Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Relazione territoriale sulla Campania, 2006, cit., p. 23.

36 Ibidem., p. 24.

37 L. Fazzo, Bassolino, l’uomo che non sapeva leggere, attacca il suo staff, in “Il Giornale”, 12 gennaio 2008.

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