
Sono lontani i tempi delle europee e della spocchia ipertrofica. Gli 80 euro non ci sono più, il Jobs act sta producendo disastri e i tanti casi giudiziari che hanno visto protagonisti esponenti di punta del Pd, hanno scritto un finale amaro per la favoletta del rottamatore.
Lo yuppie di Rignano non ride più.
La rincorsa affannosa dei democratici ad un centro politico che ormai esiste solo in Parlamento e l’abbraccio salvapoltrone con Verdini e i transfughi berlusconiani, hanno disorientato ed allontanato la base di un partito che non ha più un’identità precisa e viene percepito come espressione dei poteri forti e riferimento politico del ceto benestante.
Anche per questo, l’astensione (che continua a crescere), da qualche tempo, colpisce anche la compagine renziana, a dimostrazione della disaffezione di un elettorato non più fedele come un tempo.
Al primo turno delle comunali, l’affluenza si è fermata al 62,14%, con un divario di oltre 5 punti rispetto alle precedenti amministrative. Il calo è stato consistente al Nord: quasi 13 punti a Milano, 11 a Bologna, 9 a Torino. Segno negativo anche a Napoli (-6%) mentre Roma ha fatto segnare il 57,13% rispetto al 52,8 del marzo 2013. Segno meno (11%) anche a Cagliari.
La sofferenza del Pd è certificata dai numeri: a Bologna l’uscente Virginio Merola è finito al ballottaggio con il Carroccio con un saldo negativo di quasi 50mila voti rispetto alle scorse consultazioni.
A Roma, dove il Pd è stato doppiato dal M5S, le preferenze perse per strada sono state circa 70mila rispetto alle scorse amministrative. Ancor più impietoso il raffronto con le europee: – 300mila.
Tendenza simile a Milano. Il Pd si è fermato a 145.933 voti: al primo turno del 2011, quando si decise di sostenere Giuliano Pisapia, i voti furono 170.551. Lontanissimo è il dato delle, europee quando i dem ottennero 257.457.
A Torino, dove Piero Fassino dovra conquistarsi la conferma al ballottaggio, il Pd ha avuto un’emorragia di poco più di 20mila voti ma rispetto alla coalizione di centrosinistra di cinque anni fa, i voti in meno sono stati molti di più: 150mila invece di 226,147.
Disastroso il dato di Napoli, dove la candidata renziana Valeria Valente, pubblicamene appoggiata anche dai verdiniani, ha dimezzato le preferenze e non è arrivata nemmeno al ballottaggio. Dai 68mila del 2011 il Pd è arrivato ai 41mila di oggi. I 130mila raccolti alle Europee del 2014, sono storia passata. Gongola Luigi de Magistris che ha surclassato Matteo Renzi nella sfida personale. I suoi voti, dopo cinque anni di amministrazione, sono passati da 128.303 a 164mila.
Perdite consistenti si sono verificate anche in centri più piccoli come Ravenna, Grosseto e Savona.
Stampa ed osservatori vicini al premier, cercano di indorare la pillola parlando di calo di consensi per tutti ma è una lettura molto parziale e faziosa di un dato che deve per forza essere letto tenendo presente che il Pd è al governo e Renzi è il suo segretario nazionale.
Dove non si spingono le parole, arrivano inesorabilmente i numeri. L’effetto Renzi è finito e il Pd ha perso queste amministrative. Tutto il resto è mero sofismo.
Ernesto Ferrante