
È una campagna elettorale all’insegna delle promesse difficili da mantenere questa che porterà l’Italia alle politiche di marzo 2018. Non è una novità, da sempre in politica si fanno molte promesse pur di strappare il voto, la novità è che dopo anni di austerità montiana, imposta mediaticamente e culturalmente, i leader politici hanno capito che gli italiano hanno bisogno di credere che l’epoca dei sacrifici è finita.
Alla proposta di abbattere le tasse universitarie, partita dalle fila di Liberi e Uguali, è seguita quella ancora più improbabile di eliminare il canone Rai. Autore della proposta: colui che ha messo il canone in bolletta, tale Matteo Renzi. Se le proposte della sinistra seppur divisa, sembrano a questo giro vere e proprie mance elettorali, va detto per onestà intellettuale che sia da parte pentastellata che dalle parti di Salvini-Berlusca-Meloni parliamo di veri e propri cavalli di battaglia delle due fazioni politiche.
Tuttavia lascia abbastanza perplessi il modo in il Movimento fondato da Grillo presenti oggi il suo progetto relativo al “Reddito di Cittadinanza”. Quello che una volta i “grillini” sostenevano potesse essere realizzato tramite il taglio dei privilegi, della lotta alla corruzione e delle spese militari, oggi viene presentato agli elettori un progetto che vede la realizzazione del cosiddetto “Piano Cottarelli”. Cioè il piano di tagli alla spesa pubblica e agli impiegati pubblici ideato da Carlo Cottarelli, il commissario straordinario per la spending review chiamato da Enrico Letta nel 2013 in pieno clima di larghe intese post-montiane e silurato da Renzi, non appena il segretario del PD si è insediato a Palazzo Chigi l’anno dopo.
Un piano quello del 5stelle abbastanza incomprensibile. La loro fissazione per il giustizialismo autodistruttivo per i tagli alle pensione e la lotta ai vitalizi, hanno fatto diventare paradossalmente il Movimento il miglior strumento per il montismo dell’Europa dell’austerity. Ma dalle parti di Genova continuano a far credere di non voler allearsi con nessuno, mantenendo una certa purezza ideologica che non rispecchia affatto le nuove posizioni centriste del loro candidato Luigi Di Maio, che ha poco tempo fa dichiarato che non è più il momento di uscire dall’euro.
Anche il progetto del centrodestra viene da lontano, quella dell’aliquota fissa è una battaglia comune alle destre liberali, Berlusconi non è nuovo a simili proposte pur non avendo avuto mai il coraggio di fare nulla del genere nei suoi periodi di governo. Ad aver dato nuovo slancio alla proposto è stato l’alleato-nemico Matteo Salvini, che fin da quando è stato eletto segretario ha martellato molto sulla proposta di un’aliquota fissa per tutti: una misura che può rilanciare le imprese, ma aumentare le sperequazioni sociali.
L’aliquota fissa o comunque un sistema di aliquote semplificato con lievissime differenze, si applica in diversi paesi, tra i quali la Russia che l’ha adottata da anni e dalla quale Salvini ha preso spunto, vista la fascinazione per Putin nel nostro paese, per dare forza al suo programma fiscale. L’avvento di Trump ha fatto ulteriormente sponda all’idea portata avanti dal centrodestra, tanto da trovare spazio anche in Forza Italia, con Berlusconi coinvolto nella lotta interna con Salvini alla leadership della coalizione.
L’eterno Silvio però non si è fatto bastare il discorso flat tax, ma ha rilanciato come suo solito: tassa di successione, bollo auto e Irap (che però è la tassa che maggiormente sostiene la sanità pubblica delle regioni italiane) sono state citate da Berlusconi come le candidate ad essere rimosse da un governo di centrodestra.
Ma tutti fanno il conto senza l’oste. Il centrodestra in particolare è una coalizione che mantiene posizioni nettamente diverse sull’Unione Europa. La Lega teoricamente sarebbe ancora per l’uscita dall’Unione Europea e dalla moneta unica e resta un amico del Front National e dei partiti di destra euroscettici. Il leader di Forza Italia da tempo si è allineato al PPE guidato dalla Merkel. Berlusconi del resto ha ricevuto l’endorsement di un suo “nemico” storico, ovvero l’Economist, prestigiosissimo settimanale del mondo finanziario londinese, da sempre avverso all’ex Cavaliere. Un allineamento quello di Silvio che è iniziato dalla crisi del 2011, dove sembrava destinato a scomparire definitivamente dalla scena politica.
Malgrado le polemiche e la rottura del patto, dovuti alla inaspettata elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica nel 2015, l’unico vero alleato di Silvio è da qualche anno il segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi. Berlusconi in fase pre-elettorale ha fatto presente al partito democratico che in caso di crisi politica dovuta all’incertezza del risultato elettorale, sarebbe favorevole a un nuovo governo Gentiloni.
Comunque la si metta sembra difficile pensare che Berlusconi possa lasciar svolgere alla Lega il suo programma euroscettico. Salvo sorprese la nuova Grande Coalizione tedesca ha rafforzato il ruolo e la leadership della Merkel, che era uscita indebolita dalla questione migratoria e dalla crescita del terrorismo in Europa e in Germania. E l’Europa a leadership merkeliana difficilmente concederà all’Italia di approvare misure così aggressive come quelle che sta proponendo il centrodestra in materia economica.
Del resto il Commissario europeo degli affari economici e monetari Pierre Moscovici ci ha appena ricordato qualche giorno fa che “Il voto italiano (sia) un rischio politico per l’Unione europea” e che la proposta di Di Maio “di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil è un controsenso assoluto”. E con una Francia che con Macron è tornata ad essere il braccio destro della Merkel con un certo vigore, c’è poco spazio per l’Italia per ottenere qualcosa di diverso di quel Nein che abbiamo ascoltato negli ultimi anni in materia macroeconomica.
Inoltre sembra ben difficile per la coalizione di centrodestra con questa legge elettorale raggiungere la maggioranza semplice nei due rami del parlamento. Secondo le stime dei sondaggi alla coalizione di centrodestra, nettamente in vantaggio rispetto alle altre forze politiche, mancherebbero almeno una cinquantina di seggi per formare una maggioranza di governo. Una situazione che rischia di portare a un nuovo stallo, la cui risoluzione sembra risiedere ancora una volta nelle grandi intese. Forza Italia e quarta gamba garantirebbero insieme ai seggi del PD una maggioranza capace di governare insieme almeno per qualche anno, in nome della seconda edizione del Patto del Nazareno.
È inutile che vi affannate, le prossime saranno tra le elezioni più inutili di sempre nella storia della Repubblica, l’andazzo resterà quello degli ultimi cinque o sette anni all’insegna dell’Agenda Monti. Buone elezioni a tutti!
