Da anni ormai si parla di un possibile sbarco delle auto di produzione cinese sul mercato europeo, sempre però basandosi su notizie e previsioni non del tutto attendibili. È ormai passato un decennio da quando una delle prime auto cinesi proposte sul mercato comunitario, l’economico Suv Landwind, venne pesantemente bocciata per essersi letteralmente sfasciata una volta sottoposta ai test EuroNCAP. Si capisce: la sua tecnologia, malgrado la linea abbastanza moderna per quanto anonima, risaliva ai primi Anni ‘80. In dieci anni, però, l’industria automobilistica cinese ha fatto passi da gigante, sebbene già allora le Case più importanti fossero già in grado d’offrire ai nostri mercati prodotti più che adeguati in materia di sicurezza e di rispetto per l’ambiente.

La Landwind, che è rimasta impressa nella memoria collettiva dando luogo per qualche tempo anche ad una serie d’ironie, oltre che essere un prodotto tecnologicamente antiquato, costruito secondo gli schemi tecnici che precedettero l’EuroNCAP e che fino ai primi Anni ‘90 caratterizzarono anche la produzione europea, era soprattutto un modello offerto da una piccola Casa, che cercava nell’export una soluzione alla concorrenza sempre più ardua da sostenere coi grandi colossi automobilistici in patria.

Lo sviluppo del mercato automobilistico cinese, col relativo fenomeno della motorizzazione di massa, ha visto nascere e morire in Cina tanti piccoli Costruttori, che per qualche tempo sono sopravvissuti proponendo modelli superati, tecnologicamente vecchi e qualitativamente scarsi. Fintantochè c’erano fasce d’utenza che non potevano permettersi di meglio pur di dotarsi dell’automobile, il gioco ha funzionato. Ma ormai anche in Cina l’automobilista o chi aspira a diventarlo può permettersi di spendere un po’ di più e, soprattutto, ha maturato una maggiore attenzione per la sicurezza, la qualità e l’ecologia. Così di spazio per i piccoli Costruttori con una produzione incentrata su modelli obsoleti e che si vendono solo per il loro basso costo ne rimane di giorno in giorno sempre di meno.

Le grandi Case, in Cina, hanno da tempo una produzione di tutto rispetto. L’attenzione riposta verso formule come l’ibrido o l’elettrico hanno attirato anche i Costruttori europei ed americani, anche perché il know how sviluppato in questi ultimi anni è decisamente di tutto rispetto. FCA ha appena stretto un accordo con BAIC, Volkswagen con SAIC, e via discorrendo per BMW, Ford e General Motors, a tacere poi di Volvo e PSA (Peugeot-Citroen) che sono finite proprio in mani cinesi. Anche la qualità, di pari passo alla tecnologia, ha visto una crescita importante. L’innovazione è la formula a cui ormai s’attiene l’industria cinese dell’ultima generazione, e la cosa è apparsa tanto convincente ai colossi europei che anche i grandi della componentistica per auto come Siemens hanno trasferito nel paese della Grande Muraglia il grosso della loro produzione. Così sempre più componenti cinesi affollano anche le auto prodotte in Europa.

Dunque, fatte queste considerazioni, sembrerebbe che i tempi per uno sbarco dell’auto cinese in Europa siano ormai maturi. Sicuramente dal punto di vista estetico e tecnologico ormai ci siamo, ma pesano ancora altri aspetti d’ordine politico ed economico come il mancato riconoscimento da parte europea della Cina come economia di mercato e la questione dell’anti-dumping.

Fino ad oggi le auto cinesi sono entrate in Europa col contagocce, e sempre con modalità piuttosto “artigianali”. Sono stati importati i prodotti di piccole Case, tecnicamente poco convincenti perché concepiti solo per il mercato interno, e venduti attraverso concessionari generalisti. A curare la loro importazione hanno provveduto piccoli importatori, con pochi mezzi, incapaci di dotarsi di una rete di vendita e d’assistenza capillare ed efficace. Questo è stato il secondo limite alla diffusione dopo quello d’aver puntato su modelli inadeguati per il nostro mercato. Fintantochè non saranno le stesse grandi Case cinesi a puntare sul mercato europeo, creando una propria rete di vendita e d’assistenza, con magazzini ricambi in grado di fornire i pezzi necessari in tempi ragionevoli, con personale addetto alla vendita e alla post-vendita professionalmente preparato, non vedremo nessuna invasione di auto cinesi sulle nostre strade.

Anche esperimenti come quello di Di Risio, che produce in Molise le DR, automobili realizzate con componenti in massima parte provenienti dalla cinese Chery, non hanno avuto un enorme impatto. Si parla anche in questo caso di piccole entità industriali, con gli stessi problemi di distribuzione e d’assistenza post-vendita evidenziati sopra.

Il colosso cinese SAIC, però, ha comprato i diritti sull’ormai scomparso marchio tedesco Borgward e l’ha fatto rivivere, inizialmente col crossover BX7. Parliamo di un prodotto, il BX7, destinato per ora soprattutto ai paesi emergenti, ma l’intenzione dichiarata è quella d’allargarsi anche all’Europa con nuovi modelli più adeguati, sfruttando un marchio il cui pedigree è al 100% europeo. SAIC è il colosso grazie al quale Volkswagen produce e vende le proprie auto in Cina: non proprio una piccola azienda. A tempo debito SAIC, come le altre grandi aziende automobilistiche cinesi, farà il suo debutto sui mercati europei, utilizzando come grimaldello proprio il marchio Borgward. Dongfeng fa più o meno lo stesso con PSA, che ha salvato da una brutta fine che sembrava sempre più probabile, ed altrettanto Geely con Volvo: quando quest’ultima venne acquistata, nel 2010, si trattò all’epoca della più grande acquisizione oltremare da parte di un’azienda cinese. Anche l’inglese MG, storica perla dell’industria automobilistica inglese, è da tempo nelle mani di SAIC, che ne prevede la reintroduzione nel mercato europeo esattamente come per Borgward.

Dunque la penetrazione dell’auto cinese in Europa è già iniziata o è comunque in procinto d’avvenire: scordiamoci piccoli importatori e modelli tanto economici quanto inadeguati. Questa volta è tutta un’altra musica.

Filippo Bovo