
I test nucleari americani furono numerosi ma ebbero tutti effetti drammatici anche sulla popolazione civile, compresi i membri di un peschereccio giapponese.
Il primo marzo 1954 sulle isole Marshall gli americani fecero esplodere la bomba più potente mai testata fino a quel momento. Appoggiata su una piattaforma al limitare di un atollo, la potentissima bomba di tipo tipo Teller-Ulam denominata Castle Bravo sprigionò una potenza valutata intorno ai 15 megatoni, circa 1000 volte quella della bomba di Hiroshima o 10 volte la potenza di tutti gli esplosivi usati nella Seconda Guerra Mondiale.
La bomba lasciò un cratere largo due chilometri e profondo 76 metri, ma la sua potenza fu molto più elevata di quanto previsto dagli scienziati, tale da rivelare al mondo quello che in teoria avrebbe dovuto essere un test segreto.
Questo test ebbe inoltre conseguenze molto spiacevoli e certamente tragiche. Non fu previsto un effetto che aumentò notevolmente la potenza della bomba: Il litio in natura è presente comunemente in 2 isotopi, il litio-6 e il litio-7, e il deuteruro di litio contenuto nella bomba era costituito per il 40% da litio-6 e per il 60% da litio-7; si riteneva all’epoca che solamente il litio 6 contribuisse a innescare la fusione, mentre l’isotopo litio-7 era ritenuto inerte.
In realtà il bombardamento da neutroni veloci all’interno della bomba determinò la fissione del litio 7 in trizio aumentando il combustibile per la fusione e incrementando grandemente la potenza dell’esplosione.
Anche il fallout radioattivo di conseguenza fu molto maggiore, i venti non girarono come previsto e un peschereccio giapponese, il Daigo Fukuryū Maru, fu investito in pieno dalla nube radioattiva. Tutto l’equipaggio risultò pesantemente intossicato dalle radiazioni e uno dei marinai morì. Ma Le radiazioni colpirono anche gli abitanti degli atolli di Rongelap e Utirik.
Circa cinque ore dopo la detonazione, a Rongelap cominciò a piovere fallout radioattivo, in poche ore l’atollo fu ricoperto da una finissima sostanza bianca e polverosa. Era il calcio dei coralli, vaporizzato dall’esplosione e reso radioattivo dai sottoprodotti della fissione.
Gli isolani di Rongelap, Ailinginae e Utirik a soli 180 km dal sito non furono evacuati che il 3 marzo ricevendo dosi di radiazioni molto elevate. Agli isolani fu richiesto di lasciare “temporaneamente” le loro case “per il bene dell’umanità e la fine di tutte le guerre”.
In definitiva, 15 isole e atolli furono contaminati. Gli effetti divennero evidenti nei decenni successivi: a partire dal 1963 i nativi delle Isole Marshall esposti all’esplosione cominciarono a soffrire di tumori della tiroide, tra cui 20 dei 29 bambini di Rongelap.
Ma fu il caso dei giapponesi che fece rumore e scatenò la preoccupazione per questo tipo di test, ancora una volta dei giapponesi erano stati colpiti da una bomba atomica americana.
Ma questo non impedì agli americani di far detonare pochi giorni dopo anche Castle Yankee, che come la sorella sprigionò più energia dell’attesa, confermando l’esistenza di un errore di valutazione che comunque aveva portato al risultato di assemblare ordigni più potenti del previsto.
Nonostante il disastro causato dal test, il modello di bomba sviluppato per Castle Bravo fu subito ingegnerizzato per la produzione delle bombe termonucleari modello Mark-21, da 4 megatoni del tipo a gravità, trasportabili con un bombardiere strategico.
Fabrizio Conti
