
In questi giorni il fronte siriano è in subbuglio, superata la brutta pagina dell’attacco missilistico statunitense sulla base aerea di Shayrat, dove i 59 missili Tomahawk sono stati in gran parte neutralizzati dalle contro-misure elettroniche della difesa aerea Russo\Siriana, a Damasco devono fare i conti con un’altra escalation militare statunitense, l’abbattimento di un Sukhoi Su-22 dell’aviazione siriana mentre era in azione sopra la provincia di Raqqa contro le formazioni dello Stato Islamico e di un drone iraniano da parte di un F-15 “Strike Eagle” dell’USAF (Aviazione Americana).
Damasco e Mosca hanno condannato l’accaduto con comunicati durissimi: si parla di “complicità col terrorismo”, per gli statunitensi invece è stata una risposta legittima; secondo il pentagono il suhkoi siriano si apprestava a bombardare le forze democratiche siriane di stanza nella zona, la risposta russa è stata la chiusura del “canale di comunicazione” con il CentCom (Comando statunitense in medio oriente) firmato nel 2015, l’Australia, altro membro della coalizione a guida statunitense sospende le sortite aeree nella zona.
Il segnale mandato dagli Stati Uniti sembra non lasciare dubbi, impedire alle forze Siriane di riconquistare terreno verso Deyr al Zur per liberare di conseguenza la zona dalla morsa dello stato islamico.
Prendere Deyr al Zur definitivamente vorrebbe dire mettere un’ipoteca sul cosiddetto “conflitto siriano”, ma non siamo sicuri che a Washington vogliano la fine del conflitto senza ottenere nulla in cambio, come la destituzione di Bashar al-Assad.