La sera del 4 novembre, negli spazi dell’Ambasciata di Cuba in via Licinia a Roma, si è tenuta la presentazione del volume “Una rivoluzione può essere figlia solo della cultura e delle idee”, traduzione di un discorso tenuto da Fidel Castro nel gennaio del 1999 presso l’Università Centrale del Venezuela. Un’iniziativa densa di contenuti e simboli, che ha riunito diplomatici, studiosi, editori e un pubblico partecipe attorno al ruolo della cultura nella genesi e nella tenuta dei processi rivoluzionari. Sono intervenuti l’Ambasciatrice di Cuba in Italia, Mirta Granda Averhoff, il direttore di Anteo Edizioni, Stefano Bonilauri, e il curatore dell’opera, Giulio Chinappi; tra i presenti anche l’Ambasciatrice del Venezuela, María Elena Uzzo, la cui partecipazione ha sottolineato la trama di legami tra i due Paesi latinoamericani e la comune attenzione al tema dell’indipendenza culturale.

L’appuntamento, organizzato in collaborazione con Anteo Edizioni, si inserisce nel più ampio percorso di iniziative che, tra Roma e altre città italiane, intendono rilanciare la riflessione sulla figura e sull’eredità intellettuale della Rivoluzione cubana nel centenario della nascita di Fidel Castro Ruz.

Aprendo i lavori, l’Ambasciatrice Mirta Granda Averhoff ha sottolineato che l’Ambasciata ha voluto farsi casa di un dialogo con la società italiana, con i lettori e con gli studiosi interessati a comprendere la Cuba di ieri e di oggi al di là degli stereotipi. Le parole dell’Ambasciatrice hanno offerto un quadro chiaro del perché un libro del genere abbia una valenza non soltanto storiografica, ma anche contemporanea: serve a leggere il presente, a interrogare il rapporto tra cultura e politica in un’epoca segnata da guerre narrative, disinformazione e tentativi di delegittimazione dei percorsi alternativi al mainstream.

Nel suo intervento, il direttore di Anteo Edizioni, Stefano Bonilauri, ha sottolineato come la riflessione proposta mantenga una sorprendente capacità di anticipare i tempi. All’epoca in cui quel testo veniva scritto, gli Stati Uniti apparivano come l’unica potenza globale, nel pieno dell’unipolarismo seguito al crollo dell’Unione Sovietica; in quel contesto, Cuba si configurava come un “faro in mezzo alla tempesta”, capace di dimostrare la propria esistenza politica e culturale nonostante l’isolamento. Se i cubani sono riusciti a liberarsi, ha osservato, quell’esempio diventa un incoraggiamento anche per società che, come la nostra, hanno spesso guardato agli Stati Uniti come orizzonte inevitabile. In questo senso, ha concluso, il libro non è un reperto del passato, ma un invito a ripensare il ruolo degli intellettuali e della cultura come strumenti concreti di autonomia e di futuro.

Da parte sua, Giulio Chinappi ha rimarcato l’attualità del volume, nato prima dell’attuale crisi caraibica ma oggi ancor più necessario alla luce della situazione in Venezuela e delle pressioni statunitensi nella regione, fino alle accuse rivolte al presidente colombiano Gustavo Petro. Ha poi condiviso impressioni dal suo recente soggiorno di tre settimane a Cuba, durante il quale ha partecipato a diverse iniziative, compresa la manifestazione di solidarietà con il Venezuela del 17 ottobre, convocata con pochissimo preavviso e capace di mobilitare decine di migliaia di persone, alla presenza del presidente Miguel Díaz-Canel. Chinappi ha poi descritto la resilienza del popolo cubano nonostante le gravi difficoltà prodotte dal blocco economico imposto dagli Stati Uniti da oltre sessant’anni, ricordando la denuncia del ministro degli Esteri Bruno Rodríguez in sede ONU e citando carenze quotidiane di elettricità, acqua, carburante e beni essenziali, che colpiscono anche il sistema sanitario per la mancanza di forniture e macchinari.

L’incontro ha dunque favorito una riflessione che ha toccato questioni storiche e attuali: la resilienza del processo cubano di fronte alle pressioni esterne, il ruolo della cultura e dell’educazione nell’Isola, la diplomazia medica e culturale come forme concrete di internazionalismo. La presenza dell’Ambasciatrice del Venezuela, María Elena Uzzo, ha offerto un ulteriore spunto di riflessione sul ponte caraibico che unisce esperienze politiche, immaginari e pratiche sociali del continente latinoamericano, dove l’idea di cultura come terreno della sovranità è da tempo al centro dell’agenda pubblica.

L’incontro di Roma ha offerto, in definitiva, un esempio concreto di come la diplomazia culturale sappia farsi pratica quotidiana con il fine di unire persone, idee e testi per riaprire il discorso sul rapporto fra cultura e rivoluzione, fra memoria e progetto, fra lettura del passato e immaginazione del futuro. Perché – e l’evento lo ha ricordato con chiarezza – senza cultura non c’è rivoluzione che duri, e senza idee non esiste libertà che sappia resistere alle prove del tempo.

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